Intervista a Giorgio Gigli

Giorgio Gigli è uno di quei pochi artisti italiani che mettono ancora l’anima nelle cose che fanno, amalgamando alla perfezione la doverosa serietà necessaria a creare prodotti di qualità alla semplicità con la quale si rapporta con il mondo. Questa la nostra intervista, un piacevole racconto che mette a nudo passato, presente e futuro di questo musicista da supportare!

E: nelle tue nuove produzioni per la Aconito records appare evidente lo studio forsennato sulla ritmica e sull’utilizzo di sonorità sperimentali, fattori che, ascoltando a distanza di tempo le tue vecchie produzioni su Elettronica Romana e Mental Groove, suonano come piacevoli novità nonché come un eccitante sfida per il futuro. Cosa sta influenzando il tuo modo di produrre musica in questo momento?

G.G.: l’evoluzione fa parte dell’indole umana e questa ne è la prova!
Inevitabilmente ognuno di noi cambia di continuo con il passare del tempo.
Rispetto alle produzioni di qualche anno fa, in cui c’era un forte legame con quelle che erano le sonorità dei primi anni novanta rappresentate da artisti come Emmanuel Top o Plastikman, dove dominava una matrice esclusivamente ritmica, adesso la ricerca si è spostata verso lo studio dell’ambiente che la circonda.
Mi hanno influenzato moltissimo produttori come Robert Henke, Ben Lukas aka HECQ, Boysen, Stefan Goldmann.
Ascoltando le loro produzioni mi sono sempre più appassionato a quel tipo di sonorità, ho cercato di studiare molto e di trovare il modo migliore per far entrare in sintonia quelle ambientazioni con la ritmica.
Il risultato si potrà cogliere nelle prossime produzioni su Aconito e Prologue recordings.

E: credi ci sia più senso nel produrre suoni scavando a fondo nella propria anima o pensi debba esistere comunque una parte razionale che si rapporti con la società esterna ed il mercato discografico, al fine di non apparire troppo “diverso” dalla massa?

G.G.: reazioni chimiche nel cervello producono stati d’animo, rispetto a questi, vengono a crearsi i suoni e le melodie.
Chi esprime i propri stati d’animo non lo fa pensando se a qualcuno piaccia il suo umore, ma lo fa semplicemente per farsi conoscere.
Dentro la mia musica ci sono io e attraverso la stessa mi rapporto con la società esterna.
Ascoltando le produzioni spesso si può capire molto di un artista, è come una sorta di biografia.
Vorrei che le persone mi conoscessero per quello che sono e non per quello che bisogna apparire, quindi continuerò a produrre musica nel modo più puro possibile senza scendere a compromessi, è difficile sopravvivere in una società dove ormai si tende a inseguire l’ideale di se stessi. Ma è proprio questo il punto dove nasce il compromesso, se tutti fossimo più liberi di esprimerci nessuno si sentirebbe “diverso”.

E: a volte mi piace immaginare alcuni producer influenzati da qualcosa che non è propriamente la loro strada, nel tuo caso ho pensato chissà come suonerebbe Giorgio in un contesto house. Hai mai sentito il bisogno di dedicarti a qualcosa di (musicalmente) diverso magari soltanto per staccare la spina e sondare nuovi territori?

G.G.: quando iniziai a suonare i primi dischi che comprai furono House, che ho poi suonato per moltissimi anni, trovandola tutt’oggi ancora interessante.
Quando si parla di musica house mi viene subito in mente Larry Levan, il Paradise Garage, l’impianto audio di altissima qualità, la cuffia “a doccia” e il mixer Rotary Fader.
All’idea di suonare in un club House così, mi vengono i brividi, sarebbe come percorrere al contrario il mio cammino professionale.
Per quanto riguarda il dedicarmi a qualcosa di musicalmente diverso, lo sto già facendo, la musica d’ambiente mi ha totalmente affascinato e quando posso cerco sempre di dedicarmi alla ricerca e alla produzione di nuove atmosfere.

E: alcuni produttori di musica elettronica stanno sperimentando con successo l’interazione con la musica classica, non ultimo, il sorprendente disco di Carl Craig insieme a Maurizio. Questo fa si che anche nella techno sia in atto una sorta di mutazione che ci fa assistere sempre più spesso all’esecuzione di live e/o Dj set in luoghi impensabili quali teatri, musei, arene ecc.
Anche nei tuoi dj set è palpabile una sorta di ricerca che mira a creare un viaggio ed un immaginario sempre diversi grazie all’inserimento di elementi ambient e sperimentali.
Cosa significa per te eseguire un dj set? Poni dei limiti ai luoghi nei quali eseguirli?
Ed ancora: il contesto nel quale puoi trovarti a suonare in che percentuale influisce sulle tue scelte?

G.G.: hai citato a mio avviso una delle migliori produzioni in assoluto,Carl Craig e Maurizio hanno fatto un esperimento fantastico! Da questi progetti si può soltanto imparare.
Questo insegna che l’arte non ha mai dei limiti, la ricerca porta sempre qualcosa di nuovo.
È inevitabile che questo modo di interagire tra varie tipologie di artisti porti anche a sperimentare nuove location dove esibirsi.
Eseguire un dj set per me significa come prima cosa cercare di far ascoltare buona musica e divertire chi è venuto ad ascoltarmi
Porsi dei limiti rispetto al luogo dove lavorare è impossibile, tutto ormai può trasformarsi in una location adatta, che sia un terrazzo di un palazzo o un club, piuttosto che l’Auditorium, cerco sempre di studiare un minino il contesto dove sto andando a suonare, tutto il resto lo fa lo stato d’animo che ho in quel momento.
La cosa negativa è che per questo motivo quando lavoro mi porto sempre dalle 3 o 4 valigie di dischi, che mal di schiena!

E: qual è la produzione alla quale ti senti più legato? Hai da raccontarci una bella storia legata a qualche tuo brano?

G.G.: non c’è una traccia a cui sono legato particolarmente, non ho un buon rapporto con le mie produzioni, non suono quasi mai le cose che produco.
Una volta finite e andate in stampa, il momento più bello è quando arriva il pacco dei vinili, per me è un emozione unica aprire il cartone e vedere che all’interno c’è frutto del lavoro fatto con tanta costanza e passione.
Però se proprio devo raccontare un bel periodo legato alle mie produzioni, quello che ricordo con più nostalgia è quello quando nacque Elettronica Romana. In quel periodo c’era molto fermento, era un continuo confronto tra noi artisti della label e Sandro il label manager, in quel periodo stava nascendo un nuovo movimento a Roma e noi eravamo i primi a cavalcarlo, quando io e Donato (Dozzy) arrivammo da Sandro con il master di “Chiki Disco”, l’espressione del suo volto ascoltando le tracce fu per me un piacere indescrivibile.

E: noi di electronique.it ci rapportiamo spesso con la scena techno ed in generale elettronica dei primi anni ’90, dove per poter produrre musica vi era la necessità di uno studio vero e proprio con tutti i suoi sintetizzatori, batterie elettroniche, campionatori ecc. Un modus operandi che creava una sorta di elite che ad oggi è scomparsa per mezzo dell’avvento dei software.
Qual’è la tua posizione rispetto a tutta questa tecnologia “facile”? Pensi che ciò abbia determinato un generale crollo qualitativo della musica o trovi comunque lati positivi in questa sorta di globalizzazione?

G.G.: quando ho cominciato a pensare che mi sarebbe piaciuto provare a creare musica, era verso la metà degli anni ’90.
Mi informai su che tipo di attrezzatura sarebbe servita per cominciare, capii che la spesa era veramente troppo elevata per me, quindi, conoscendo persone che avevano uno studio dove producevano musica elettronica, mi appoggiai a loro per apprendere le tecniche di produzione.
Era un emozione unica entrare in quelle cantine dove lungo il corridoio che portava all’entrata dello studio, l’odore di muffa si mischiava al suono del basso, e più ti avvicinavi più si faceva presente, le luci erano sempre molto basse, appena si entrava la cosa che colpiva di più era la luce del monitor del computer, piccolo e in bianco e nero, era un Atari “mega STE” il sequencer utilizzato era Cubase 2 poi c’era un banchetto dove erano posizionate delle meravigliose macchine tra cui i gioielli Roland TR909, TB303, TR808 e un sintetizzatore Juno60.
Ho cominciato così, ma con il passare del tempo la tecnologia è andata avanti, i prezzi dei personal computer si abbassavano e alcune software house cominciavano a sviluppare programmi che permettevano di poter fare più o meno tutto.
Appena uscì Reason di Propellerhead nel 2000 mi appassionai molto e cominciai a provare a fare le prime produzioni da solo.
Negli ultimi anni mi sono trovato a lavorare con persone che hanno degli studi notevoli con hardware vintage eccellenti e non ti nascondo che per me è stata una forte emozione lavorare con quelli che erano i primi strumenti con cui ho cominciato.
Sono un fan di tutto questo, mi emoziono ogni volta che entro in uno studio dove posso ammirare queste macchine come in un museo, e nessun software potrà mai emulare le emozioni che si provano usandole fisicamente.
Non credo che la tecnologia sia “facile” ma credo che possa aiutarci a sviluppare quelle che sono le nostre idee, dipende come la si usa.
Una grande svolta c’è stata quando Robert Henke e Gerhard Behle noti come Monolake hanno fondato la software house Ableton, con l’avvento di “Live” è cambiato il modo di produrre musica.
Un software apparentemente facile da usare che rappresenta a pieno la ricerca di nuove possibilità espressive attraverso la musica elettronica, mettendo sullo stesso piano strumenti vintage, software e computer.
Per quanto riguarda la qualità delle produzioni è diverso, le idee e la fantasia non si comprano, credo che questi software abbiano dato la possibilità a quasi tutti di potersi esprimere nel miglior modo possibile, c’è da dire che a differenza della tecnica che si può imparare nel tempo, il gusto è una cosa che ho si ha o non lo si può acquistare da nessuna parte.

E: oltre al modo di produrre musica, la tecnologia ha inevitabilmente mutato il mercato discografico, una cosa annunciata da tempo se pensiamo che la Sony dopo aver inventato il formato CD ha messo in commercio i masterizzatori, ma che ora comincia a mietere vittime in ogni dove e continuamente assistiamo alla chiusura di negozi di dischi e label indipendenti, che dopo l’avvento del formato mp3 hanno visto crollare verticalmente le vendite.
La musica elettronica è nata su vinile ed ha vissuto il suo massimo splendore su questo formato.
Tu continui imperterrito a proporlo come soluzione unica per l’acquisto dei tuoi brani. Credi ci sia bisogno di più militanza per tornare ad una logica di mercato che veda premiati economicamente gli sforzi dei produttori? Vedi il mercato digitale come un reale valore aggiunto?

G.G.: questo è un discorso molto articolato e difficile da affrontare, per quanto mi riguarda le label che producono solo musica digitale sono figlie dei tempi, l’avvento di software che hanno permesso di emulare a pieno il vinile hanno dato un forte contributo all’ascesa del formato digitale.
È inutile nascondere che molti lo fanno per comodità, piuttosto che portarsi 2 valigie di dischi, basta un laptop e 2 “vinili” e la serata è risolta.
Sicuramente il lato economico non va trascurato, il vinile costa e non tutti possono/vogliono permetterselo, acquistare musica digitale è più facile e meno costoso.
Molti lo fanno perché sono nati con questa cultura, chi si avvicina alla musica è sempre molto giovane quindi conosce le tecnologie del tempo in cui vive, non gli interessa come si suonava negli anni novanta.
Quindi se oggi un ragazzo vuole cominciare a “mettere i dischi” compra 2 cdj un mixer e il gioco è fatto.
Non esiste memoria storica nelle nuove generazioni la cosa che li preoccupa è solo l’idea del futuro.
Non posso fare a meno di lasciarti con le parole di un collega, che spero possano servire a far riflettere sul valore aggiunto di quel pezzo di plastica nero.

Dieci anni di dischi. Già, i dischi. Chissà cosa ce li fa amare così tanto?! Qual'è quella magia, quell'alchimia che ce li fa scegliere? Appoggiamo la puntina su quel pezzo di plastica nera e diciamo si o no, e dietro questa scelta c'è il nostro gusto, il nostro pensiero, la nostra storia.
Una storia piena di brividi, di emozioni, di certezze, di insicurezze. Piena di aspirazioni, di delusioni e di grande gioia.
Io, a volte, lo capisco dalla copertina se un disco mi piacerà e dalle prime note mi accorgo se dentro quel 'cerchio' di vinile c'è un progetto, un'idea, una passione. Allora lo scelgo, senza pensare al genere o allo stile. Senza domandarmi come e quando lo userò. Già il concetto di 'usare' la musica mi dà fastidio. Un disco in cui ci hai sentito quel 'non so ché' si rivelerà sempre un buon investimento. Hai voglia tu a parlare di nuove tecnologie, di inventare nuovi supporti… Cd, mini disk, mp3: certo, tutta roba utile ed importante… tutta roba che semplifica la vita.
Ma quel brivido che si prova quando si estrae quel pezzo di plastica nera dalla copertina, quell'odore, quella sensazione che si ha quando con la mano lo si ruota sopra il tappetino di feltro, in cerca della battuta, non si sostituisce con niente. E, in questi tempi di marketing, di sponsors, di addetti stampa e di 'guest stars', è bene ricordare che il nostro mestiere è fatto, soprattutto, di queste cose. Semplici e selvagge.

E: purtroppo anche sulle nuove generazioni si è abbattuto il fardello, mi arrivano email di ragazzi che chiedono dove poter “scaricare” i dischi che recensisco su electronique.
Non esiste in loro il valore della musica e l’illegalità sembra stia diventando un “bene” di uso comune. Alcuni artisti stanno seriamente pensando di regalare la propria musica, ed alcuni in effetti già stanno cominciando a farlo, Grandmaster Flash all’uscita del suo nuovo album dopo 20 anni di inattività ha dichiarato che il disco è ormai paragonabile ad un flyer di una serata, lo lasci in giro e ti fa pubblicità. Cosa pensi abbia determinato tutto ciò? E soprattutto vedi risolvibile in qualche maniera il fenomeno del download illegale?

G.G.: come ti dicevo prima,i ragazzi che ti chiedono dove poter scaricare i dichi,sono figli dei tempi.
Viviamo in una società dove viene consumato tutto velocemente e di conseguenza non viene dato più valore alla musica,quello che prima era un vinile e una copertina,oggi è un file mp3 .
Non esiste più il valore affettivo dell’oggetto ma interessa solo il suo immediato utilizzo,il processo è questo: scarico>suono>dimentico
I vinili sono un modo per ricordare chi sono stato dietro quelle copertine colorate che riempiono le mie librerie c’è la mia storia,forse sono troppo romatico ma a me piace viverla così la musica,mi ha dato talmente tanto che all’idea di sfruttarla preferirei non farla più.

Cosa pensi abbia determinato tutto ciò?

Forse oggi viene dato poco valore alla musica…

Vedi risolvibile in qualche maniera il fenomeno del download illegale?

Ormai definirlo illegale credo sia inesatto, partendo dal fatto che le compagnie telefoniche fanno offerte sempre più vantaggiose e veloci, quindi mettono in condizioni l’utente di poter scaricare tutto con tempi minimi, in rete ci sono moltissimi programmi p2p che permettono il download veloce di tutte le ultime novità discografiche di qualsiasi genere, per quale motivo bisognerebbe comprarsi la musica digitale?
Se tutto è alla portata di tutti senza pagare nulla, forse l’unica salvezza è la coscienza?

E: tornando al lato prettamente musicale ci piacerebbe sapere cosa vedi di veramente buono intorno a te, nella scena elettronica pensi ci siano ancora i cosiddetti “movimenti musicali” oppure i frutti migliori sono da cercare nascosti tra i fittissimi rami?

G.G.: più che intorno a me, dentro di me, di buono sono le emozioni, che sono il valore aggiunto per poter fare musica senza di quelle la tecnica sarebbe fine a se stessa.
Nella scena elettronica a parte i classici, sono esistiti nuovi movimenti negli ultimi quattro anni? Peccato non me ne sono accorto!
Non sempre i frutti che appaiono più belli esteticamente sono quelli più buoni, a volte quelli che hanno l’aspetto più brutto hanno un sapore più intenso, bisogna saperli cercare, e una volta trovati , assaggiarli.

E: so che sei in costante contatto con produttori scandinavi ed in generale ami particolarmente il tipo di suono che sta giungendo da quelle terre, chi sono i nomi di riferimento secondo te e quale credi sia il motivo di tanto calore dietro le loro produzioni e sonorità? Possiamo aspettarci qualche tuo nuovo lavoro con qualcuno di questi?

G.G.: è vero! Ho conosciuto delle persone meravigliose, Samuli Kemppi e Teemu Tuominen sono gli artisti che negli ultimi tempi mi hanno più condizionato.
Le loro sonorità così calde saranno forse date per compensare il freddo che c’è da quelle parti!
Per quanto riguarda le collaborazioni spero di trovare il modo di concludere qualcosa con il mio amico Samuli.

E: il disco che hai ascoltato più volte nella tua vita. Non voglio una lista, semplicemente il disco che è finito più volte nel tuo giradischi e perché.

G.G.: Protection dei Massive Attack

E: in fine il disco che non compreresti mai.

G.G.: Crookers - Limonare

liquid

fonte:www.electronique.it

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