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Superjab, il viaggio interattivo

Voglio segnalare questa interessante iniziativa di Angelo "Superjab" Lo Presti, un ragazzo siciliano con la passione di girare il mondo: gli utenti del suo sito (http://www.superjab.com/) possono partecipare attivamente al suo attuale viaggio, che è partito da Cuba e lo porterà fino alla Terra del Fuoco, attraversando l'America Centrale e Meridionale.



Infatti, registrandosi al suo sito si riceve settimanalmente un'email tramite cui si può partecipare ad un sondaggio e decidere quale sarà la meta successiva del suo percorso.
Si può poi seguire la sua avventura, tramite i video, ben fatti, che settimanalmente pubblica sul sito http://www.superjab.com/ , dove si trova anche un'ottima guida pratica e psicologica per viaggiatori, molto utile, da scaricare gratuitamente.

questo link una sua intervista per il sito viaggiaredasoli.net di Francesca Di Pietro

Mia intervista a Shinedoe (10 maggio 2008)


Poco prima della sua gig al Red Zone di Perugia lo scorso 10 Maggio,in cui si è esibita in un ottimo set, ho avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con la simpatica e bravissima dj olandese Shinedoe, artista in grande ascesa e proprietaria dell'etichetta Intacto: ne è venuta fuori una mini-intervista, eccola:

Che cosa pensi del contributo che ha dato Detroit alla dance? Ti è servito di ispirazione?
Un ottimo contributo è stato quello della scena di Detroit riuscendo a dare alla techno un'anima ed anche una certa purezza, fungendo da ispirazione per tutta la scena dance mondiale ed anche per me.

Quali sono i 5 indispensabili vinili che non possono mancare dalla tua borsa dei dischi, quando ti esibisci in dj set?
1-Ron Hardy-Chicago
2-Innersphere-Phunk(Intacto)
3-Haito-E-love(Kickerboxer)
4-Kenlou-The bounce(Maw Records)
5-Nick Curly-Television(8bit Records)

Qual'è la tua opinione sulla scena clubbing italiana: i tuoi club preferiti,e gli artisti maggiormente degni di nota?
Quando suono in Italia ciò che mi colpisce di più e li differenzia da altri paesi è l'energia del pubblico, sono spontanei ed hanno una reazione forte alla musica: tra i club in cui ho suonato l'esperienza migliore l'ho vissuta al Brancaleone a Roma, tra gli artisti ho grande stima per Marco Carola.

Infine,quali sono i tuoi progetti artistici per il futuro più o meno immediato?
Su Intacto Records è in uscita un remix per una traccia di Djulz-Yo momo, ed anche un mio nuovo singolo; fra i progetti a lunga scadenza c'è anche quello di creare un mio proprio live set visto che mi cimento volentieri anche nelle produzioni.


Thanks Shinedoe!

Intervista originariamente apparsa nel 2008 su Soundzmag, magazine curato dallo staff della sala techno del Red Zone

Mia intervista a Legowelt (31 ottobre 2006)

Dopo essersi reso protagonista di una splendida esibizione prima in live e poi in dj set al recente party Sweet Babes svoltosi lo scorso 31 Ottobre 2006 al Red Zone di Perugia, facendo saltare la sala Soundz con un turbine di suoni a cavallo fra electro, acid e techno, l’artista olandese di Den Haag,  Danny Wolfers in arte Legowelt ha rilasciato anche un’intervista in esclusiva per Soundzmag in modo da farsi conoscere meglio dai suoi numerosi fans italiani come artista e come persona.
L’olandese, famoso per le sue releases su Clone, Bunker e Creme Organization e per la hit su Cocoon, Discorout, disco dell’anno nel 2002 per l’autorevole rivista tedesca Groove, è stato molto disponibile e simpatico e lo ringraziamo per questo, ed anche il suo live è stato veramente degno di un grande artista.



Ciao Danny, parlaci dei tuoi inizi e dei tuoi primi contatti con la musica elettronica
“Naturalmente i soliti Kraftwerk ed in seguito gli Underground Resistance di Detroit sono stati i veri fautori della mia passione per la musica elettronica”

Perché il nome Legowelt?
“Perché io gioco con la musica come voi potete fare con i piccoli cubetti della Lego…..costruendo i miei propri mondi con la musica invece che con i cubetti della Lego…..”

Che cosa conosci dell’attuale scena italiana a livello di club, artisti o labels?
“Conosco Marco Passarani ed Alexander Robotnick, questo è ciò che conosco dell’attuale scena dance italiana”

Che cosa pensi dell’italo-disco?
“Un grande stile che è stato molto importante, è stato uno dei primi stili di musica elettronica indipendente che siano esistiti, ad aver commercializzato se stesso sufficientemente….delle grandi tracce sono state realizzate negli anni passati!!!”

Qual è il paese in cui ti sei divertito di più a suonare e che ricordi con più piacere?
“ultimamente Minneapolis, USA, la città di Prince…anche le date in Irlanda sono sempre grandi, così come in Scandinavia e a Malta….sono comunque molti i posti in cui mi sono trovato bene”

Parlaci del tuo live set e di che cosa usi per le tue bellissime produzioni
“il mio live set è improvvisato, io uso sequencers hardware, drummachines, piccoli sintetizzatori ed alcuni processori con effetti. Non ci sono computer portatili e molte macchine sono sincronizzate a mano, niente Midi. Io ho molte macchine tra cui scegliere quelle da portare con me, la maggior parte delle volte la scelta ricade sulla Yamaha RM1X (il miglior sequencer hardware mai prodotto!), una Roland TR707 e una Boss DR660 come drummachine, dei campionatori Korg e dei pedali Boss.”

Perché per il tuo album Astro Cat Disco hai scelto il formato mp3?
“è stata un’idea della casa produttrice, è solo un test, queste tracce sono vecchie, molte di queste non sono mai uscite….forse loro vogliono vedere come va questo formato, io comunque sono sicuro che quest’opera sarà presto su vinile.”

Hai altre passioni o hobby oltre la musica?
“Colleziono e costruisco modellini di aeroplani e m’interesso di ogni cosa che abbia a che fare con l’aviazione, l’astronomia, il geofiction, e seguo i film italiani del festival di Gallio(Vicenza)”

Come passi una tua giornata tipo in Olanda nel paese in cui vivi?
“ dopo una buona colazione vado allo studio e faccio delle tracce, lavoro su alcune idee in ufficio, bevo molti caffè e torno a casa la sera, cucino, faccio alcuni lavori in ambito musicale e quindi mi guardo alcuni episodi di Star Trek The Next Generation.”

Parlaci della tua data al party Sweet Babes al Red Zone Club di Perugia e saluta i tuoi fans italiani
“sì, è stato un party molto bello e particolare,il pubblico italiano è stato veramente caloroso. i miei migliori saluti, Danny”

Intervista pubblicata originariamente per Soundzmag, magazine dedicato alla musica elettronica, curato dallo staff della sala techno del Red Zone


Dj Interview Raidue 1998

Rave Rai 1998 - DJ interview ripped by elekkk Spezzone registrato dai RAI DUE, anno 1998, trasmissione che parlava di Dance in italia.

Intervista ad Ilario Alicante


2007-2008

Un perfetto sconosciuto di appena 20 anni tira fuori dal cilindro una traccia di nome "Vacaciones En Chile";il promo inizia a essere suonato da tutti i big djs,in pochi mesi diventa una hit mondiale suonata in tutti i migliori clubs

2009

Il successo continua e le uscite su label prestigiose confermano il talento di questo ragazzo.
E' la breve storia di Ilario Alicante (classe 88') che a 21 anni è tra i djs italiani più richiesti all'estero e tra i principali talenti della scena mondiale

Ciao Ilario! E' un grande piacere averti qui!
L'intervista non può non iniziare con il brano che ti ha cambiato la vita:"Vacaciones En Chile"
Ti saresti mai aspettato che il tuo brano sarebbe diventato una hit "planetaria"? Puoi raccontarci qualche aneddoto/retroscena dietro a questo disco?

Innanzitutto Ciao a tutti i ragazzi del forum! Grazie a voi per avermi
invitato|
No, non melo sarei mai aspettato. Piano Piano mi accorsi che la track
aveva grande potenziale ma mai, mai, mi sarei aspettato un successo
così mondiale.
Il passo più difficile era forse riconfermare il successo del primo disco ma ci sei riuscito alla grande con "Living Near Africa" stampata su Cecille,senza contare anche le ottime apparizione su Bla Bla,Thirtyonetwenty e l'ultima fatica su Bosconi!
A 21 anni è molto difficile reggere una "pressione" del genere? E se un giorno tutto questo successo finisse?


Una cosa fondamentale di questo lavoro secondo me è stare con i piedi
per terra ed essere sempre ,costantemente, consapevoli che puo finire
in poco tempo.
Questo mondo è una ruota. Un giorno sei il numero uno, un giorno ti
dimenticano....quindi è sempre bene lavorare lavorare , correndo
dentro questa ruota come fa un criceto, per rimanere sempre nella
solita posizione.

Tra i tuoi ultimi lavori sei uscito anche sulla famosa RAL;come mai i bootleg riscuotono cosi tanto successo ultimamente?

Riscuotono molto successo perchè alla fine, è bello sentire traccie
del passato magari provenienti da generi musicali completamente
differenti rispetto al nostro, rivisitate nella nostra visione moderna
della musica. Si puo interepretare anche come sperimentazione
musicale.

Da pochi mesi anche te come tanti altri ti sei traferito a Berlino,la città del clubbin per eccellenza....cosa hai riscontrato di diverso dal nostro paese?

Ho riscontrato una Differenza abissale nella visione del clubbing.
A partire dalle selezioni alle porte, a finire a moltissime altre cose.
A partire dal Panorama tempio dell underground mondiale dove il
concept principale è la musica e non il design.
A finire al watergate dove il buttafuori all ingresso se non sei in
lista, ti chiede chi suona e solo se lo sai ti permette di entrare.
(puoi arrivare a compromessi con donne
Credo che Berlino adesso sia un grande meeting point per noi
Dj/producer, un grande polo nel quale scambiare idee, inspirazioni e
voglia,voglia di andare avanti con la nostra passione

Dopo il boom minimal c'è stato un ritorno alle sonorità più "houseggianti",un tuo pensiero sull'attuale scena musicale?

Il mio pensiero è positivo per quanto riguarda questa ondata.
Credo che ci volesse una rinfrescata musicale, un ritorno alle radici.
La musica adesso è piu felice, è anche piu musicale, organica.
Inoltre,credo che a tutti fa piacere vedere anche piu ragazze che
apprezzano e ballano piu volentieri questa musica.
Tutto gira, questo è un momento dove necessitavamo di questo secondo me.
Ma come tutto si inflazionerà e magari tra poco cambieremo di nuovo,
portando qualcosa di diverso. Vedremo.
Comunque sia mi piace l'house, mi piace la techno, mi piace il
dubstep,
Basta che sia bella musica.

Hai iniziato attraverso i "live set" e poi ti sei diretto verso "dj set" tradizionali,quando hai maturato questo cambiamento?

Io iniziai come Dj prima di tutto, Poi sono passato al Live per una
fissazione che mi ero preso per questo programma e per questo modo di
suonare.
Dopo però mi sono reso conto che suonare dj ti permette di esprimere
veramente quello che sei, di raccontare la tua storia alla gente, di
poter suonare quanto tempo vuoi senza limitazioni, essere eclettici.
Nonostante adesso preferisco il Djset in alcune situazioni è giusto
fare un live dove proponi al pubblico il tuo lato "producer"
,dove la
tua storia la racconti ,ma da una sola visione musicale, ovvero la
tua.

L'Italia negli ultimi anni ha regalato tantissimi talenti alla scena musicale europea;c'è qualcuno che apprezzi in modo particolare?

Certo ce ne sono molti! quelli che preferisco sono, Alex picone,
Ues, Mass prod, Kaysand, Leon.,Rills..e altri. credo che abbiamo delle
grandissime potenzialità. Basta catalizzarle.

Quali sono i tools di cui non potresti mai rinunciare in studio?

Sicuramente l electribe della korg!

Puoi svelarci qualche anticipazione sui tuoi prossimi lavori?

sono focalizzato sull apertura della mia label, dove cè dietro
tanto tanto impegno. Poi ho un uscita su cecillè a breve...una sulla
storica nervous come rmx ufficiale a byron stingly, poi ho
collaborazioni con amici come Sis che stiamo portando avanti un
progetto coronato pure da una nostra serata a berlino..Deepmoves meets
cocolino.
Poi cè una cosa In arrivo ma vela tengo un po segreta, un po per
scaramanzia un perchè non cè gusto a dirvi tutto!!! ma in pochissimo
tempo vedrete.

Ultima domanda prima del congedo!
Cosa ti senti di consigliare ai tuoi coetanei che vorrebbero realizzare il tuo stesso sogno?
Grazie 1000


Ragazzi l uniche poche cose che mi sento di dire sono:
Produrre,produrre produrre con pazienza e consapevolezza del prodotto
che andiamo a proporre alle altre persone. A volte mi trovo per
esempio, ragazzi che mandano track pensando di poterle fare ascoltare
a label di calibro altissimo quando magari, farebbero bene ad
aspettare e raggiungere una qualità migliore!

Un abbraccio a tutti!!!
Grazie a voi.

fonte:www.goodymusic.it

Intervista a Donato Dozzy


DATE:Ottobre 2009
PLACE:Roma

Nella calma del suo studio romano abbiamo intervistato Donato Dozzy, ecco a voi la lunga chiacchierata nella quale Donato ci ha raccontato molte cose interessanti.

E: Ciao Donato, cosa significa suonare ad un festival come il Labyrinth (http://www.mindgames.jp/), quali emozioni o stati d’animo può generare un evento simile?

D.D.: E’ la completa e definitiva interazione tra una persona su un palco e 2000 persone che sono di fronte a te e sono esattamente come te. E’ un enorme quantità di energia che ti viene riversata addosso e tu non fai altro che riversarla di conseguenza su di loro. Si crea una spirale vera e propria in cui non c’è alcun tipo di sentimento anche solo vicino al negativo, sono tutte persone che hanno voglia di divertirsi e creare qualcosa di speciale con te, facendoti sentire il benvenuto.

Una festa senza eguali sia dal punto di vista emotivo, sia per ciò che concerne l’ambiente che ti avvolge, una riserva naturale stupenda, ma diciamo che qualunque posto loro scelgano per il Labyrinth è un posto speciale, un luogo dove il suono riesce a raggiungere livelli di nitidezza e purezza senza eguali (supportato da un’esemplare set-up Funktion One), dove lo spazio è ben distribuito (l’organizzazione limita gli accessi ad un massimo di 2000 unità), dove è molto frequente che tutti i dj che si trovano a suonare insieme lì poi rimangano amici tra di loro.

Altra cosa importantissima è che il festival viene fatto per creare un vero e proprio collegamento tra tutti gli atti che si susseguono. L’organizzazione (Russ nella fattispecie) fa in modo che ogni artista suoni in un determinato momento perché sa che in quell’orario può esprimersi al meglio, ed in effetti è quello che poi si verifica.
Nessuno si ritrova al suo posto per caso, noi siamo giocatori, siamo i dischi di Russ.
Lui è il miglior dj che conosca! (risate)

E: Quindi un organizzazione che cura il dettaglio fino all’eccesso?

D.D.: No, non lo definirei eccesso, è semplicemente tutto come dovrebbe essere.

E: Vista la vicinanza tra i generi che i djs propongono in questo festival, credi ci sia una sorta di snobbismo verso altre sonorità?

D.D.: No, è necessario mettere in chiaro che questo è un evento dove la predominanza è data dalla musica...Rituale, dalla musica psichedelica, e di contro, ci sono alcuni dj che vengono al Labyrinth che non propongono musica propriamente psichedelica, ma amano suonare ritmi più solari che quindi completano il ciclo sonoro creando il colore necessario.

D’altronde partecipare ad un evento dove si suona lo stesso tipo di musica per 4 giorni di seguito non è poi così entusiasmante.
Quello che posso dirti è che c’è un grandissimo equilibrio tra gli atti che si susseguono, il Labyrinth è un vero e proprio puzzle dove ogni tassello è meticolosamente studiato per risultare perfetto.

E: Da anni il mercato giapponese è visto come una sorta di area riservata tanto che alcuni producer pubblicano i loro album esclusivamente per quel territorio, credi che il pubblico nipponico sia più incline a ricevere input musicali? In cosa si differenzia la loro ricettività da quella della massa?

D.D.: Credo che un appassionato di musica di qualsiasi nazione non abbia nulla da invidiare ad un appassionato giapponese, quello che differenzia i giapponesi è il fatto che probabilmente hanno una più spiccata attitudine al collezionismo, a seguire la musica (sia dal punto di vista tecnico che da quello propriamente musicale) molto più sviluppato e radicato rispetto a qualsiasi altro.

Ci sono negozi di dischi ancora molto forti (vedi Disk Union) ed un gran consumo di vinile oltre che di tutti gli altri supporti. Posso riportarti l’esempio di un negozio di strumenti che si chiama “4G” dove ho visto almeno 5 “909” ed altrettante “808” rimesse a posto e vendute una accanto all’altra, molti altri strumenti vintage, pile di giradischi che la gente compra tranquillamente.

E questo loro essere così attenti alla musica di conseguenza li porta a seguire anche tutti gli artisti stranieri che vanno lì per suonare, e devo dire che ne sanno tanto! Nei vari anni ho avuto modo di conoscere e parlare con molta gente trovandoli tutti preparatissimi.

E: Puoi elencarci 3 dischi dance e 3 dischi ambient dalla tua selezione che hanno rappresentato, a tuo avviso, il culmine emotivo del festival?

D.D.: Wow…iniziamo dall’ambient.
Il set ambient ha avuto i suoi momenti, prima di tutto perchè ho avuto il coraggio di suonare una traccia che non avevo mai osato proporre davanti ad un pubblico, si chiama “Rude Boy” un pezzo prodotto da me che a differenza di tutte le cose che faccio, prettamente strumentali, è interamente cantato dal mio grande amico Habib.

Non ero affatto certo che potesse avere un buon riscontro, temevo molto il giudizio, anche perché ho impiegato 4 anni a realizzarlo e devo dire che la persona che più mi ha incoraggiato a suonare questo brano e che ringrazio apertamente è Chris di Mnml Ssgs . E’ stato lui a convincermi, dopo averla sentita in anteprima a Londra un paio di mesi fa.
Così ci ho pensato…Di getto è uscita ed è stato sicuramente uno dei momenti emozionanti del set.
La seconda è “Global Communication - 14:31”, ne parlavamo prima a cena, questo brano ha creato commozione sia in me che nel pubblico.

Il terzo è un pezzo di Mike Parker che si chiama “Arena” e presto verrà pubblicato su Aquaplano.
Questo è stato uno di quei momenti in cui ho sentito l’aria condensarsi completamente, le persone hanno smesso di parlare e si sono “prese” tutte le frequenze del brano per sei minuti di seguito senza far volare una mosca.

…Ora parliamo dei tre brani dance.
Uno dei momenti molto forti è stato quando ho messo “Alone” di Shura su 3B o ancora “Pssst!” di Cio D’or su Motoguzzi Records, un brano con delle frequenze molto sottili che sembrano cullarti, ma al tempo stesso l’andatura del basso è corposa, lì ho visto gente ansimare!

Per ultimo citerei il brano “Blue” di David Alvarado su Strive, anche qui la gente è letteralmente impazzita!
Probabilmente sto’ dimenticando qualcosa, e forse nei momenti finali si è verificata la vera esaltazione.

E: Con che disco hai chiuso?

D.D.: Ho chiuso con un brano che si chiama “Classic 909” di Scott Grooves su Natural Midi, un brano con una struttura ritmica creata appunto dalla “Roland 909” ed una melodia dolcissima sopra. Finito di suonare ho spento il giradischi ed è iniziato a piovere … ! (risate)

E: Assitere ad un tuo set significa staccarsi completamente dalla realtà immedesimandosi in quello che è l’oggetto delle meraviglie della musica elettronica, ovvero il viaggio. Quanto studio c’è alla base della costruzione di un tuo set? Quello che mi interessa capire è il rapporto che crei con i dischi che proponi e di quanto ascolto hanno bisogno per poter entrare nelle tue superbe selezioni?

D.D.: Ci tengo a dire che nei miei set non c’è nulla di programmato, tutto è lasciato alla casualità.
Prima di iniziare di solito scelgo un “colore”, un tema dato dal mio stato d’animo in quel giorno, ed una volta iniziato il set ogni cosa viene creata da molteplici fattori che possono verificarsi. Non esiste assolutamente un ordine nella mia borsa.
Cerco sempre di conoscere al meglio i dischi che propongo, ascoltandoli più e più volte, fino ad arrivare a creare un rapporto con loro.

Cerco di annotare mentalmente, per ognuno, gli strumenti utilizzati o il tipo di frequenze che generano. In questo modo posso abbinare le varie tracce senza creare particolari discordanze.
Inoltre posso dirti che amo scoprire la storia che c’è dietro ogni disco, informandomi, ove possibile, sulle tecniche con le quali è stato prodotto, sulle strumentazioni utilizzate, sulle scelte grafiche ecc. Diciamo che provo ad eseguire uno studio sia di feeling che di dinamiche.

E: Possiamo isolare nelle tue selezioni due macroaree ben precise, la prima basata su un estetica techno estremamente ipnotica ed avvolgente, la seconda fondata su un andamento downbeat ed atmosfere rarefatte, vorrei provassi a descriverci le sensazioni che ricevi suonando queste diverse anime.

D.D.: Sul set più “forte”, più veloce c’è un comportamento, sia del corpo, sia del modo in cui ragiono molto più forsennato ed incalzante. Io per primo mi metto sotto stress in un set techno perché so’ che devo andare al massimo.

E: Cosa cerchi realmente nel pubblico in quel momento?

D.D.: Io cerco la fiducia! Il pubblico và sempre conquistato partendo da zero ed è proprio questo che crea poi lo stress.
Ripeto, in quel momento so che devo dare il massimo, poi se vedo che si crea risposta allora tutto diventa in discesa, la gente và fuori di testa ed io voglio andare fuori di testa con loro!

E: Il tuo è un modo a mio avviso molto più raffinato nel gestire la folla, mentre gran parte dei dj si affida a “trick” vari per poter creare quell’effetto ripartenza ed esplosione, tu li trascini in uno stato di trance attraverso delle semplici variazioni tonali.

D.D.: Esatto, per quanto mi riguarda, è più importante la variazione sul dettaglio che sulla massa, il break può verificarsi attraverso una cassa dritta, lasciata lì da sola in attesa del prossimo arpeggio, questo è il mio modo di percepire il ritmo e mi rendo conto che non tutti possano sempre aver voglia di assecondare quella che a mio avviso è una vera e propria esperienza di gruppo.

Per quanto riguarda il set ambient, lì i tempi si dilatano, non ho l’esigenza di farti ballare ed il piacere sta tutto nell’abbinare i suoni, nella consapevolezza che le persone sono rilassate e ti ascoltano. Una vera e propria sonorizzazione dell’ambiente, l’autentico lato B della dance, magari sono suoni che potresti ascoltare tranquillamente in un set techno ma questa volta privati dell’esigenza del ballo.

E: Quale pensi possa essere una soglia temporale massima oltre la quale potresti rinunciare a suonare un tuo set?

D.D.: Una volta sola mi è stato chiesto di partecipare ad una serata in cui ognuno doveva suonare 20 minuti, ma è stata una cosa talmente surreale che mi è piaciuta! Esprimere tutto te stesso in 20 minuti…

E: Stiamo parlando del Combo Cut?

D.D.: Esatto, una serata fatta al Metaverso a Roma, gli organizzatori ebbero questa insana idea di far susseguire i djs in tempi di 20 minuti, la cosa bella fu che tutti entrarono nello spirito di questa cosa per cui i mini-set in realtà erano molto ispirati e la serata si rivelò molto divertente.

Sai, quello che potrebbe darmi fastidio è quando ti chiamano in un posto dove sai che non c’entri nulla, dove non hai molto a che vedere con la line-up o con lo spirito e quando arrivi ti dicono di suonare 1 ora o poco più, quello è un tempo in cui non esprimi niente, una lunghezza difficilissima da gestire.

Infatti quando mi propongono un set chiedendomi di suonare un ora io tremo, perché so che alla fine si rivelerà come il set più difficile di tutti, perché, soprattutto quando suoni della musica che ha a che fare con la psichedelia, termine che contempla l’assuefazione a determinati suoni, la gente potrebbe non entrare nel tuo mood e percepire la tua musica in maniera errata.

Per cui anche il mio approccio, come è successo già in passato anche all’estero, era estremamente terrorizzato, ed anche il mio suono poi ne ha risentito. Questo ti porta sicuramente a suonare dischi che hanno più personalità, sono meno rarefatti quindi magari cose che a te piacciono maggiormente, in certi frangenti non sei in grado di suonarle.
Io amo dei dischi che posso suonare soltanto dalla terza ora in poi per esempio, quando la gente è completamente presa dalla situazione. Poi chiaramente tutto si può fare, ma questo tipo di richieste non sono per me stimolanti.

E: Hai vissuto per un periodo a Berlino, città consacrata come capitale mondiale della dance elettronica e dimora ormai di moltissimi dj e producers. Come definiresti l’atmosfera che si respira in città, e perché quindi la scelta di tornare a Roma?

D.D.: Perché mi sono invecchiato! (risate) Berlino è il paradiso, puoi essere un musicista come una persona che cerca semplicemente delle conferme e trovare un gruppo di persone con le quali relazionarti perché fanno le tue stesse cose, e già questa è una grande motivazione secondo me.

Poi, una volta realizzato quello che stai cercando, devi comunque avere dei buoni motivi per rimanere, ed io non è che facessi una brutta vita in Italia prima d’andare via, anzi.
Il problema è che facevo fatica a trovare un’identità in questo paese, per cui io sono andato lì in realtà per relazionarmi con delle persone, per avere delle nuove amicizie, per imparare delle culture. Questa è la cosa bella di Berlino, tu vai lì e trovi persone che provengono da qualsiasi angolo del mondo, che arrivano e sono pronti a scambiare le loro informazioni con le tue.

Poi, parlando del lato musicale, molte di queste persone sono preparatissime tecnicamente, io nel giro di 2 anni ho fatto dei progressi a livello tecnico che non potevo aspirare ad avere rimanendo in Italia, facendomi tra l’altro le ossa in un posto come il Panorama Bar, che ignoravo totalmente prima d’arrivare a Berlino, e mi sono ritrovato ad essere resident lì dopo una settimana che mi ero trasferito, per fortuna ignaro, del “peso” del posto, per cui quella è stata sicuramente la palestra di interazione col pubblico più importante avuta lì.

Ho conosciuto tantissimi djs con i piedi per terra, brava gente, persone con le quali sono tutt’ora in contatto.
Anche il semplice vivere lì e respirare quell’aria è stata una cosa utile e secondo me, le persone sono molto umili e la competizione è più sana. Poi ovviamente sta a te fare un bilancio delle cose, perché a Berlino c’è tanta merda come tante cose buone, certo è che gli input sono enormi, perché tutti (o quasi) i djs del mondo sono andati a vivere lì.

Questo perché il background socio-politico permette una certa maturità collettiva, poi perché molte delle cose che da noi sono considerate tabù lì sono contemplate, permesse e condivise.
Puoi imparare molto sotto il punto di vista della tolleranza, del rispetto verso il prossimo, lì tutti i colori sono ben accetti, anzi, più sei colorato e più sei ben visto! E questa è una cosa che mi è rimasta nel cuore.
Aggiungerei anche che è una città nella quale si può vivere, non è cara, direi a misura d’uomo, le iniziative sociali che l’amministrazione rivolge ai cittadini sono molte, c’è un grande supporto verso le arti in generale ed è per questo che gli artisti si sentono benvenuti.

Tutta questa tolleranza naturalmente crea degli eccessi, chiunque, se vuole a Berlino può uscire di casa il lunedì e tornarci il lunedì successivo avendo partecipato soltanto a dei party, lì ogni festa in realtà è un after di quella prima, e quello che succede frequentemente è che questo stile di vita poi si ripercuote in maniera negativa sul lato artistico, nonché su quello fisico e la creatività viene meno.

E: Quindi può essere una vera e propria arma a doppio taglio?

D.D.: Lo è! Se tu sei una persona votata all’autodistruzione, a Berlino ti scavi la fossa.

E: Quali sono i canali che attualmente utilizzi per acquistare la musica che ami proporre? E’ ancora intatto il fascino del vecchio negozio di dischi dove passare intere giornate a scavare tra montagne di vinili?

D.D.: Beh si, io posso portarti come esempio tutti gli anni passati dentro da Re-Mix a Roma, come tutte le ore passate da Hardwax, dove credo che ogni scaffale è stato da me passato al setaccio.
E’ una cosa troppo bella, il negozio di dischi rimane un grande momento di socializzazione secondo me, sia perché incontri i tuoi “simili”, persone con la tua stessa passione, poi c’è il rapporto che si crea con il negoziante, io ci sono cresciuto con queste cose e sono uno a cui non basta fare semplicemente degli ordini via internet.

Internet rischia di farci perdere quello che è il contatto con altre persone che non sia strettamente legato ad una serata alla quale partecipi, nel negozio puoi conoscere persone appassionate che magari non incontreresti mai in un club e questo è bellissimo!

E: Facci il nome di un artista del quale compri a prescindere tutto sapendo di non sbagliare mai.

D.D.: Robert Henke.

E: Ultimamente la tua figura và sempre più avvicinandosi allo status di producer , questo grazie ai brani ed alle collaborazioni che via via si fanno sempre più fitte. Quando hai cominciato a sentire il bisogno di produrre musica ed in che modo ti sei avvicinato alla fase operativa?

D.D.: Ho iniziato ad avvicinarmi alla produzione prestissimo, già dall’89 quando ho iniziato a fare le serate come disc jockey, la mia attenzione era mirata a capire come si realizzavano i dischi che amavo.
La mia fortuna è stata di avere due mentori come Paolo e Pietro Micioni che hanno tutt’ora uno studio di produzione che si chiama Gimmick, loro mi hanno aiutato a capire quale fosse il processo della produzione e tieni conto che parliamo degli anni ’80 quindi strumentazione analogica, bobine, c’era veramente di tutto!

Le fasi sono state diverse, diciamo che la prima era quella dell’essere affascinato dalla musica, poi è seguita quella del mettere in pratica le informazioni che avevo appreso, poi ancora la consapevolezza, cominciare a collezionare degli strumenti, piano piano, iniziando con un campionatore (all’epoca ero molto appassionato di Hip Hop e mi interessava molto campionare e preparare dei beats).

Poi chiaramente le cose hanno cominciato ad affinarsi ed ho cominciato ad utilizzare i computers ed alla fine i pezzi si sono uniti da soli, ma stiamo parlando di un percorso durato 15 anni!

E: Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato una volta intrapresa questa nuova avventura?

D.D.: E’ molto semplice rispondere! La cosa più dura è senza dubbio trasporre in musica ciò che hai in mente. Tradurre il proprio pensiero in musica.

In realtà non sei mai soddisfatto quando realizzi un brano, io stesso sono convinto che non sarò mai soddisfatto di quello che faccio, perché tramutare l’energia che si ha dentro in qualcosa di esterno e tangibile, rimanendo fedeli a quelle che sono le tue emozioni, è forse la cosa più difficile di questo lavoro.

E: Queste difficoltà vengono meno soltanto provando continuamente?

D.D.: Ma anche con un semplice colpo di fortuna, perché magari da un errore nasce un’idea pazzesca, quello che devi fare sempre è essere il più sincero possibile, rendendo effettiva e leggibile quell’emozione che tu hai provato.

E: Secondo te può esistere un brano creato “a tavolino”?

D.D.: Si, però devi avere delle capacità tali che ti permettano di poterlo realizzare, ci sono artisti bravissimi a creare brani progettati in precedenza, è la loro attitudine, io non ne sarei capace, ma ho molta ammirazione verso chi riesce a programmare tutto in questa maniera.

Io credo di essere più impulsivo come carattere, quindi mi piace creare un’onda, cercare di cavalcarla e poi…vediamo cosa succede.
Però posso capire benissimo anche chi ha delle scadenze ben diverse dalle mie, magari quelli che fanno produzioni pop o per label molto grandi, lì le esigenze sono ben diverse, ed è logico che servano produttori in grado di realizzare musica anche “sotto dettatura”.

E: Nel tuo studio ci sono due Roland TB-303, una con la modifica Devil Fish, una macchina storica per tutti gli appassionati di musica elettronica cosa puoi dirci a proposito della scelta di questo strumento?

D.D.: Sono nato nel 1970, nel 1988 avevo 18 anni e quando è arrivata l’acid ho ricevuto un autentico colpo in faccia! In realtà conoscevo già il suono della 303 però non l’avevo relegato a questa macchinetta qui.
A me piaceva quel suono, ne ero molto affascinato, quando ascoltai per la prima volta “Let me go” degli Heaven 17 ero molto piccolo e pensai: “Wow! Questa è una roba che arriva da un altro pianeta!”. O ancora in “Just An Illusion” degli Immagination dove c’è una bassline 303 molto ben programmata.

Nel momento in cui invece se ne è iniziato a fare un uso “improprio” c’è stata la vera e propria presa di coscienza della generazione a cui appartengo e tutti ci siamo trovati a pensare che in fondo questa macchinetta stava cambiando il corso della musica elettronica.

In realtà ne ho acquistata una solo dopo molti anni, anche perché credo che in un certo senso bisogna essere pronti per poter utilizzare una 303. Ognuno può ricreare quel suono attraverso vari tipi di software che la possono emulare con risultati eccellenti, ma averla e suonarla significa creare una linea di continuità con quel periodo al quale sei appartenuto.

E: Puoi dirci qualcosa di specifico riguardo alla “Devil Fish”?

D.D.: Dopo esser rimasto affascinato da tutto quello che Mike Parker mi ha raccontato riguardo questa macchina infernale ho deciso di acquistare una seconda “303” e di farla diventare una Devil Fish per mano di Robin Whittle, in Australia.

Per almeno due anni ho composto una serie di demo che non ho mai pubblicato e che sono stati una vera e propria palestra nella quale acquisire padronanza con lo strumento.
La Devil Fish può veramente trasformare quello che è il classico suono della bassline in qualcos’altro di totalmente diverso,sconosciuto e misterioso.
E’ uno strumento con il quale poter realizzare dei brani quasi completi perché ha un suono talmente definito, corposo e ti permette di realizzare dei bassi veramente pericolosi!

E: Puoi dirci qual è il disco non prodotto da te nel quale ritieni ci sia il miglior utilizzo della “303” ed in quale dei tuoi dischi pensi di averla utilizzata al meglio?

D.D.: Cominciamo dal mio così riduciamo il campo d’indagine. (Dopo molta esitazione) Ok, ci sono: “Real Love” realizzato insieme a Giorgio Gigli, perché sono riuscito ad ottenere dalla macchina esattamente quello che volevamo, ovvero una bassline che allo stesso tempo fosse una cosa ritmica e che stimolasse lo spettro con frequenze tutte diverse una dall’altra.
Avevo in mente di realizzare un brano che impegnasse il minor numero di strumenti possibile, e grazie alla Devil Fish siamo riusciti nell’intento!

Per quanto riguarda la bassline utilizzata da altri, torno a ripetere “Let me go” degli Heaven 17, poi citerei sicuramente “151” di Armando o ancora “Acid Tracks” di Phuture, ma quello che amo veramente è l’uso alternativo dello strumento, magari utilizzato in un brano che non sia propriamente house, in tal proposito potrei citarti i Massive Attack in “Protection” o ancora il remix di Kruder & Dorfmeister per “1st of the month” dei Bone Thugs ‘n Harmony, brano contenuto nelle famose KD sessions.

E: Credi il tuo sound abbia raggiunto una maturità tale che possa farti affermare che ti rappresenti completamente?

D.D.: Non riuscirei mai ad essere così lucido verso la mia musica, né a poter affermare una cosa del genere. Sai, delle volte mi trovo ad iniziare diversi progetti che poi rimangono incompiuti causa la perdita di entusiasmo, e questo capita molto spesso, se andiamo a cercare nel mio hard disk troveremmo decine di pezzi iniziati e mai conclusi.
Direi che tutto dipende dallo stato d’animo nel quale mi trovo, a volte sono pieno d’entusiasmo e riesco a chiudere un brano in poco tempo mentre altre, molte, questo rimane soltanto una scintilla che non ha mai visto la fine.

E: Riusciresti a contemplare l’idea di realizzare le tue produzioni utilizzando esclusivamente software?

D.D.: Come sfida, probabilmente, nel senso che ora sono talmente abituato a realizzare tutte le mie produzioni con strumenti analogici, ma allo stesso tempo non sono un fondamentalista e quindi non tendo ad escludere totalmente la strumentazione digitale.
Per cui ogni tanto mi ritrovo ad aprire dei software e provare ad immergermi in quel tipo di sonorità. Mi interessano ed affascinano ancora, quello che ci tengo a precisare è che accetto tutti i tipi di tecniche, purchè ci sia criterio in quel che si fa.

E: In base alla tua esperienza quale pensi debba/possa essere il periodo di gestazione minimo per fare di un semplice “smanettone” un vero produttore?

D.D.: Beh questo credo sia totalmente soggettivo, dipende da quanto tempo impieghi a far materializzare quello che hai in mente.
Io sono diffidente verso le persone che producono a raffica, creando un percorso senza soste, questa a mio avviso è una mancanza di autocontrollo, credo un produttore debba avere un minimo di senso del limite e di autocritica oltre che la giusta coerenza e l’onestà verso il proprio pubblico.
Questo ti porta ad essere in un certo senso maturo e quindi ti permette di compiere il salto di qualità necessario a farti considerare un vero produttore.

E: A nostro avviso questo termine è ormai abusato nel 90% dei casi, e solo raramente ci si può trovar a parlare con un produttore che può vantare uno studio come il tuo.
Questo ovviamente può tirarci contro molte persone, ma la nostra idea è che dovremmo in qualche modo riavvicinarci a quello status elitario che una decina di anni fa permetteva di farci ascoltare molta musica di qualità. Qual è il tuo pensiero riguardo alla massificazione alla quale stiamo assistendo?

D.D.: Ovviamente l’enorme mole di musica riversata su web ogni giorno ha creato una sorta di dispersione non controllata, e questo può essere un bene od un male, nel senso che ora, più che mai, c’è bisogno di selezione. Nei primi anni ’90 c’erano artisti come i Future Sound Of London ad esempio che avevano uno studio e delle strumentazioni fuori dal comune ed oltretutto erano appassionatissimi al loro lavoro, e se senti un loro brano puoi renderti conto che dentro c’è molto di più.
C’è tutto il peso dell’esperienza, della passione e delle capacità tecniche acquisite in anni di lavoro. Con questo non voglio dire che la tecnica non sia replicabile con un computer, ma certamente questa nuova “accessibilità” ha fatto aumentare di molto la quantità di musica prodotta e quindi bisogna impegnarsi per trovare qualcosa di veramente ricco.

Ovviamente la tecnologia và incontro sia al produttore che al consumatore, infatti oggi abbiamo strumenti sempre più raffinati per la ricerca della musica, mentre un tempo per trovare le cose migliori bisognava prendere un aereo e volare a Londra o, per chi poteva permetterselo, negli Stati Uniti. In fin dei conti credo continui ad esserci un equilibrio tra le parti.

E: Entrando nel vortice della produzione si può correre il rischio di isolarsi troppo dal mondo musicale arrivando a snobbare tutto ciò che non è stato concepito e creato da e per se stessi?
Ti faccio questa domanda perché sempre più spesso mi capita di intervistare artisti o leggere interviste nelle quali dichiarano fieri di non appartenere al mondo della musica elettronica e in molti casi di non conoscere artisti o dischi che magari sono seminali per la storia che stiamo raccontando.

D.D.: Anche in questo caso credo la cosa possa variare da artista ad artista, conosco persone assolutamente concentrate su sé stesse che conoscono praticamente soltanto la loro musica, però lavorano talmente bene che poi è un piacere sentire le loro creazioni.
Al contrario conosco altri artisti che immagazzinano quante più informazioni possibile, appassionandosi a fondo, i cosiddetti “tuttologi”, una categoria tutta a sè!

E: Quali sono i progetti a cui stai lavorando attualmente? C’è chi comincia a gridare all’album, cosa dobbiamo aspettarci?

D.D.: Non farò mai un album! Non ne sono capace! (risate) No, ok, in realtà stavo cominciando a pensare ad un album in un momento in cui credevo ancora particolarmente nell’industria della musica, ma subito dopo ci fu il tracollo che ha portato ad una riduzione drastica del consumo e della gestione delle cose. In quel momento sono rientrato in Italia ed ho dovuto cominciare a riconsiderare tutto, l’idea dell’album non era più viva e concreta come qualche tempo prima.

Se oggi dovessi immaginare un album, questo dovrebbe essere un prodotto senza alcun compromesso, totalmente libero. Soltanto ciò che è nella mia mente e forse, paradossalmente, questo potrebbe essere un momento adatto ad un prodotto del genere, perché chi compra vinile oggi è una persona che lo ama profondamente ed io produrrei il mio album solo ed unicamente in questo formato.

Da poco tempo sono stato contattato per la realizzazione di musica ambient da pubblicare su cassetta, e questa per me è stata una proposta molto stimolante, pensare ad un numero limitatissimo di pezzi, con art work fatti a mano è qualcosa che ho sempre voluto.

Al momento il mio interesse verso l’album è proteso senz’altro verso musica d’ascolto, non meno che a brani dance o quant’altro.

E: Hai mai pensato alla realizzazione di colonne sonore?

D.D.: Si, è una cosa che mi interessa moltissimo, aspetto soltanto di essere “illuminato” dall’idea di qualcuno!

E: Altri progetti?

D.D.: Beh sicuramente posso parlarti della mia creatura preferita al momento: Aquaplano, progetto che realizzo insieme al mio amico Manuel Fogliata, in arte Nuel.
Lui è una di quelle persone con le quali mi capisco al volo sia sotto il punto di vista tecnico che personale. Aquaplano vuole essere un progetto musicale autentico, vero, un prodotto che rispetti i tempi e si concentri sull’unica cosa importante, la musica.
Dopo i primi 2 dischi presto ne faremo uscire un terzo, ma quel che è più importante è che Aquaplano rappresenta la storia di un amicizia, è qualcosa di puro e sincero.

E: Di cosa si compone la tua collezione di dischi? Quanta musica nella tua vita e quanta altra oltre la techno?

D.D.: La mia collezione comprende dischi di tutti i tipi ognuno rappresenta uno step importante della mia vita, si và dal rock al reggae o ancora rap ed hip hop, dub, drum and bass, musica classica, folcloristica, sonorizzazioni, musica italiana…

E: Quali sono gli artisti italiani che apprezzi maggiormente?

D.D.: Paolo Conte, Franco Battiato, PFM e De Andrè su tutti, poi Gino Paoli, Mina, Rino Gaetano ed altri.

E: Sei stato influenzato in qualche maniera dalla disco music?

D.D.: Tantissimo, ne ero molto affascinato, “The Chase” di Moroder, per esempio è un pezzo che da piccolo mi ha “rotto in due”! E’ musica che anticipava molte delle componenti che ora sono parte fondante della mia musica, dalle bassline alla cassa alle melodie, non è mai successo, ma è un brano che potrei anche suonare in uno dei miei set.

E: Ora una domanda che è un po’ il rito di chiusura, qual è il disco che hai ascoltato più volte nella tua vita? Voglio un solo nome, quello che semplicemente è finito più volte nel tuo lettore e perché.

D.D.: Tommy degli Who!

E: Perché?

D.D.: E’ figlio di un periodo di forte psichedelia, ha dei brani che viaggiano completamente nel tempo e nello spazio, ha delle tematiche molto molto acide, degli arrangiamenti e delle trovate ritmiche sublimi, un fortissimo potere descrittivo.
Per quanto mi riguarda è il simbolo della generazione dalla quale proviene, credo che la techno più psichedelica di adesso sia una conseguenza di quella musica, sono convinto che assistere ad una performance dal vivo degli Who provocava lo stesso effetto di un Jeff mills di adesso.
E’ un disco che riascolto sempre.


liquid
fonte:www.electronique.it

Intervista agli Snuff Crew

Snuff crew, dal nulla nel giro di un anno siete risciuti a sfornare produzion su etichette del calibro di Nature, Playhouse fino ad arrivare all'album sulla storica etichetta Gigolò. Siete stupiti anche voi di questa incredibile esplosione?

Eins: Certo. Prima del boom ho lavorato piu' di 12 anni da solo nella mia stanza su diversi tipi di musica elettronica, senza mai pubblicare niente, ma solo con tante promesse non mantenute e frustrazioni. Poi un giorno decisi di cambiare il mio studio ed acquistare piu' strumenti. A quel tempo ero gia' un grande fan del suono dei Chicago House e decisi di fare suoni oldschool come il loro. E dal momento in cui ho fondato gli Snuff Crew tutto e' espolso. Albums, contratti discografici, remix, performance live, e ora l'album con Gigolo'...Vediamo un po' cosa viene dopo!

Zwei: E' piu' o meno la stessa cosa per me. Ho prodotto musica mia dai primi anni '90, ho pubblicato qualcosa ma non ebbi mai un gran successo. Il mio ultimo disco e' uscito nel 2007 e conteneva qualche minimal remix house per me molto noioso. Ero cosi' deluso da quel disco che ho pensato: "ecco, basta, ora fai qualche lavoro d'ufficio per il resto della tua vita, e la musica rimmarra' sempre solo un hobby per te". Ma ora che gli Snuff Crew diventano sempre piu' grandi sono tornato nel business. E' bellissimo vedere i nostri dischi suonati da vari DJ in tutto il mondo e ordinati per grandi feste. Certo tutto questo mi sorprende molto - ma dovrei lamentarmi? non credo :)

Quale è il vostro background e cosa ascoltate attualmente? quali sono gli artisti che preferivate e preferite?

Eins: Ascolto sempre un sacco di musica, non solo musica elettronica. Ma a proposito di musica elettronica, oggi adoro i Chicago House, Italo Disco, Disco.

Zwei: Sono sempre stato preso dalla musica elettronica in generale, e ho i miei artisti preferiti in quasi tutti gli stili di musica dance. Gli eroi per me erano sempre Kraftwerk, Daft Punk, Laurent Garnier (sono cosi' emozionato di sentire che apprezza la nostra musica!), Josh Wink, Hardfloor, Carl Craig o Wolfang Voigt. Ora che sono coinvolto con gli Snuff Crew ascolto sempre piu' roba vecchia, Adonis, Fast Eddie, Lil Louis, Armando, Bam Bam, chi piu' ne ha piu' ne metta.

Il vostro primo disco è uscito su una etichetta Italiana, la mitica Nature di Marco Passarani, come è nato il contatto con Marco?

Eins: il contatto avvenne su myspace. Avevo aggiunto Marco al nuovo account di Snuff Crew su myspace. Gli piacquero due dei pezzi registrati. "God" e "Straighter" e decise molto presto di pubblicarli con la sua etichetta. Fu un momento fantastico, quando il 12" usci' :-)

Cosa dobbiamo aspettarci dal vostro live?

Eins: Jackin Beats naturalmente. E tanto divertimento! Non vediamo l'ora di suonare in Italia. :-)

Zwei: facciamo sempre un sacco di live jam di cui rimaniamo sempre sorpresi anche noi, quando dopo riascoltiamo la registrazione. Ma prevedo che ci saranno tanti suoni 707, 808 e 909 e certamente, un bel po'di bei 303 in azione (707, 808, 909 e 303 sono sigle di storiche drum machine e bassline prodotte dalla Roland negli anni '80, NDR)!

Il 20-12-2012 sappiamo tutti che finirà il mondo...cosa ascolterete negli istanti prima della inevitabile catastrofe?

Eins: I miei dischi e pezzi preferiti credo. Ma spero che prima che la fine del mondo si avvicini, avremo abbastanza tempo per far festa, per amare, per goderci le nostre vite....e naturalmente....tempo per il jack! :-)

Zwei: Probabilmente Lou Reed - Perfect Day, o forse Motiivi: Tuntematon - Mankind Failed, o semplicemente "Dance Little Bird", degli Electronicas.

Intervista a cura di Matteo Trenta, traduzione di Miriam Maggi.
fonte:www.dancity.it

Intervista ai Silicone Soul


Gli scozzesi Graeme Reedie e Craig Morrison, attivi da dieci anni come Silicone Soul, hanno pubblicato alla fine di giugno il loro quarto omonimo album, ancora una volta su Soma Records.

Abbiamo incontrato Graeme Reedie a Barcellona nella hall dell’albergo che li ha ospitati poco prima dello showcase dell’etichetta. Graeme si è dimostrato gentile, loquace e molto simpatico.

E: Ciao Graeme, come stai?

S.S.: Bene, grazie, siamo arrivati a Barcellona da qualche ora, pronti per lo showcase della Soma Records di questa sera in uno dei nostri club preferiti.

E: Ormai siete quasi diventati cittadini onorari di Barcellona. Scorrendo le date del vostro tour, ho notato che la città catalana è una tappa ricorrente?

S.S.: Sì, Barcellona ci piace molto. Veniamo qui da quattro/cinque anni ormai e La Terrrazza è uno dei club in cui preferiamo suonare.

E: Partiamo dal vostro terzo album "Save Our Souls". Cosa è successo dopo?

S.S.: Dopo "Save Our Souls" per un po’ di tempo non abbiamo fatto molto. Craig si è trasferito in Francia e ha avuto bisogno di tempo per organizzarsi. Io, insieme a Dave Donaldson, ho realizzato nel 2008 un album a nome Mirror Music. Dopo che Craig si è stabilito, abbiamo cominciato ad avere più tempo e abbiamo iniziato quindi a pensare al nuovo album. Non è mai facile prevedere i tempi: dopo “Staring Into Space” abbiamo fatto “Save Our Souls” in poco tempo, “Silicone Soul” ha avuto una gestazione più lunga. Alcune volte le cose vanno più veloci, altre volte meno.

E: Perchè il vostro ultimo album è senza titolo?

S.S.: Abbiamo pensato che questo album dovesse rispecchiare noi e il nostro suono e, dopo, averlo ascoltato, ci siamo detti: “questo è quello che stiamo facendo, questo è Silicone Soul”. Per noi rappresenta una sorta di ripartenza, è cambiato molto il nostro modo di lavorare. Sicuramente rappresenta un nuovo inizio con grande entusiasmo e freschezza.

E: Alla luce del risultato finale, in che misura l’album rispecchia la vostra idea di partenza?

S.S.: In generale abbiamo sempre pensato che i nostri precedenti lavori fossero troppo brevi, troppo concentrati. Con “Silicone Soul” abbiamo cercato di sviluppare le nostre idee impiegando, in totale, diciotto mesi per concludere l’album. E’ molto vicino a quello che avevamo in mente.

E: Partiamo da “Koko's Song”, la prima traccia che troviamo sull’album.

S.S.: Volevamo dedicare questo pezzo a Koko. Era un nostro fan bulgaro, recentemente scomparso. Era una brava persona, lo conoscevamo personalmente, certo non benissimo, ma lo incontravamo quando andavamo a suonare in zona. Bevevamo qualcosa insieme, ci fermavamo abitualmente a parlare e quando i suoi amici ci hanno informato, attraverso il nostro myspace, che era scomparso abbiamo subito pensato di dedicargli qualcosa.

E: Quali sono le tracce dell'album che preferisci?

Direi ”Dust ballad II”, “Hurt People Hurt People” e “David Vincent's Blues”.

E: Da dove provengono le campane alla fine dell'album?

S.S.: Le campane sono quelle della chiesa vicino alla casa di Craig. Abita in Francia, in un piccolo paese con davvero pochi abitanti dove era stato per un periodo. Una volta rientrato a Glasgow ha pensato che doveva ritornarci e stabilirsi.

E: Se dovessi scegliere tre aggettivi per definire il vostro suono la scelta cadrebbe su elegante, profondo e misterioso. Sei d’accordo?

S.S.: Sì, concordo decisamente.

E: Dopo due grandi successi come "Right On!" e "Feeling Blue" avreste potuto avere un facile successo in termini di vendite ma avete scelto di non ripetere quella formula e, al contrario, avete scelto di continuare a produrre tracce di qualità ma con meno appeal commerciale.

S.S.: E' stato un periodo di confusione, eravamo più giovani, ma abbiamo capito che non era quello in cui eravamo interessati. Magari un giorno succederà che andremo in studio e ne uscirà qualcosa di simile ma attualmente non è nelle nostre intenzioni.

E: Quali interessi avete al di fuori della musica?

S.S.: Siamo molto impegnati con la musica e non ci rimane molto tempo libero.
Per quanto mi riguarda, ho cominciato da poco a fare immersioni subacquee nella piscina dietro casa mia. Mi diverte molto ma sto ancora imparando.
Craig possiede invece una collezione molto vasta di maschere incise provenienti da tutte le parti del mondo, molte delle quali provengono dall’Africa.

E: E' più difficile gestire il vostro progetto ora che tu e Craig abitate in posti diversi?

S.S.: In un certo senso sì, essere più vicini ci permetteva di scambiarci le nostre opinioni con più velocità ma la lontananza fa sì che, quando ci vediamo, abbiamo più idee da scambiarci perchè abbiamo tempo per elaborarle meglio.

E: Hai mai preso in considerazione di lasciare Glasgow?

S.S.: Sì, forse abitare in un posto più caldo non mi dispiacerebbe, magari con un inverno più mite.

E: Quali produttori ti piacciono? Ti piace qualche produttore italiano?

S.S.: I primi nomi che mi vengono in mente sono quelli di Nick Curly e la Cécille Records, Solomun e la Diynamic. E' davvero un buon periodo per la musica elettronica e ci sono molte cose interessanti in giro.
Mi piacciono molto i produttori italiani e mi piace, in particolare, la scena di Napoli. Mi piace molto anche un produttore di nome Daniele ma in questo momento, scusami, ma non riesco proprio a ricordare il cognome.

E: Tre dischi da isola deserta?

S.S.: Un album di Jimi Hendrix, un album dei Rolling Stones, magari qualcosa degli Orb. Penso a U.F.Orb: mi piace “Blue Room”. Forse anche un po’ di reggae: se ho tempo mi faccio una raccolta così arriviamo a quattro album, soltanto uno in più rispetto alla tua domanda.

E: Cosa vorresti dimenticare?

S.S.: Niente, non vorrei dimenticare niente, le cose negative fanno comunque parte della vita e servono per migliorarti.

E: Di cosa sei più orgoglioso?

S.S.: Di tutti gli album che abbiamo prodotto (siamo nel nostro decimo anno di attività) e di quello che abbiamo fatto con la nostra etichetta Darkroom Dubs, anche se in realtà è Craig ad occuparsene maggiormente.

E: Un artista che ti piacerebbe portare sulla vostra etichetta Darkroom Dubs?

S.S.: Un artista che ci piace molto tecnicamente e qualitativamente è Trentemøller.

E: Siete anche ottimi dj, come costruite i vostri set?

S.S.: In modo del tutto naturale: di solito partiamo soft e poi cominciamo a spingere e andare sempre più pesante. Dipende però anche da altri fattori quali, ad esempio, il posto e la gente.

E: Ultima domanda: dove sta andando il mondo?

S.S.: Il mondo sta andando verso l'inferno.. La musica è una delle poche cose che possiamo salvare.

Antonio Di Gioia
fonte:www.electronique.it

Intervista a Boosta su rave e dintorni



Sono contro la politi­ca del divieto. Lo sanno tutti, il proi­bizionismo produce effetti contrari a quelli desiderati. E allora perché ri­schiare di peggiorare la situazio­ne? »

Davide Dileo, in arte Boosta, è uno dei fondatori dei Sub­sonica. Per la band torinese suona le tastiere, fa la seconda voce di Sa­muel Umberto Romano, soprattutto partecipa alla composi­zione e alla produzione dei brani. Ma ha anche scritto due romanzi, di­retto un documentario ed è un produttore e de­ejay conteso dalle disco­teche di mezza Europa. «Non vado a un rave da molto tempo, saranno almeno 15 anni. E devo dire che all’epoca non erano così male. Era una scena musicale vivace e interes­sante. So che è passato molto tem­po e che le cose sono peggiorate, ma non vorrei parlare di come è di­ventato il mondo di queste feste im­provvisate e selvagge, perché in real­tà non lo conosco così bene. Mi pia­cerebbe parlare invece del contesto che c’è intorno e che in parte deter­mina le degenerazioni di cui si sta occupando la cronaca».

Ovvero?
«Mi riferisco alle leggi populiste sfornate da una classe dirigente mio­pe. È facile proibire ogni cosa per ac­contentare un elettorato che preva­lentemente passa la propria giorna­ta sdraiato sul divano. Ma con i di­vieti non si va da nessuna parte».

Si riferisce alle ordinanze che vietano l’alcol per i minorenni?
«Anche a quello, ma non solo. Parlo della sel­va burocratica inestrica­bile che rende impossi­bile qualsiasi attività culturale nelle nostre città. Oggi chi apre un locale per fare musica dal vivo o ha soldi della mafia da riciclare oppu­re è un deficiente. Del resto come si può pen­sarla diversamente se uscire la sera è diventato quasi un reato. Se lo fai evidentemente è a tuo rischio e pericolo perché è vero­simile che finirai in ospedale o peg­gio al cimitero. Per i ragazzi le scelte sono poche: sballarsi fino all’autodi­struzione oppure restare a casa. Le leggi bloccano e proibiscono, non puoi proporre o fare praticamente nulla, sei costretto a rinunciare. E magari a ferragosto finisci in un ra­ve illegale, forse perché non hai tan­te altre alternative».

Quando frequentava lei i rave c’erano alternative?
«A metà degli anni Novanta esi­stevano mille altri posti per ascolta­re musica o per fare qualcosa di inte­ressante. Oggi le leggi bloccano tut­to, e se anche riesci a organizzare qualcosa, vieni ostacolato in ogni modo».

Sì ma cosa c’entra questo con pseudo-feste dove la droga scorre come acqua corrente e la gente muore di overdose?
«Ormai io sono un padre di fami­glia di 35 anni (per la cronaca ha avuto due figlie dalla modella Fer­nanda Lessa ndr ) e faccio questo mestiere di musicista e dj da quan­do ne avevo 20. Ed ho capito che non si ottiene alcun risultato incul­cando paura o proclamando divieti. Ghettizzare ed etichettare come ne­gativo il popolo della notte, anche quello estremo dei raver, per me non porta da nessuna parte. Interro­ghiamoci invece sui bisogni dei ra­gazzi e su come sarebbe possibile educare i loro gusti».

E come si fa?
«Magari offrendogli alternative valide. A Zurigo c’è l’esempio straor­dinario della Street Parade. Un milio­ne di persone che ballano e si diver­tono, sorvegliati dalla polizia e dalle istituzioni. Non è mai successo nul­la di male. È una questione di rispet­to reciproco, molto spesso basta questo».

fonte: corriere

Intervista a Dj Machine(Maximal,Milano)

Forse se il nostro sconquassato Paese ha ancora una piccola possibilità di riprendersi lo si deve a ragazzi come Tommaso alias Dj Machine che, a poco più di 20 anni, armati solo di un sano mix tra passione e incoscienza si trovano nella posizione di poter rilanciare la scena Techno nazionale.

Parlaci dei tuoi inizi: quando hai scoperto la techno e cosa ti ha spinto a fare il Dj ?
Sono sempre stato interessato ed incuriosito da tutto quello che gravita attorno alla dimensione sonora: dalla musica, alla sperimentazione, alla ricerca applicata alle strumentazioni tecnologiche di supporto. Ho iniziato studiando il flauto traverso, solfeggio e storia della musica (classica)…. ora sono qui, a produrre e diffondere suoni digitali provenienti da panorami futuristici industriali post atomici! Ho cominciato la mia attivita’ di dj in ambito hiphop e jungle, influenzato moltissimo dai cd rap, trip hop e dub di mio padre. Ci ho messo circa un anno a ricercare una dimensione sonora che mi rappresentasse, anche con il supporto di amici che mi aiutarono ad indirizzarmi verso un genere di techno pura rappresentato da un lato, dalla storia e dall’anima: quindi Jeff Mills, Robert Hood, Drexciya, Derrick May, Kevin Saunderson, Scan7, Underground Resistance, Ben Sims, The Advent.. , dall’altro lato - quello emotivo, quasi di sfogo - delle sonorita’ odierne piu’ dure come Rush, Pet Duo, Arkus p., Wittekind e molti altri. In ogni set mi piace utilizzare brani o semplicemente sample provenienti da altri generi musicali come noise, ambient, folk italiano, sonorita’ indiche o arabeggianti dando cosi’ sempre voce all’essenza multiculturale del mondo di oggi.
Tu sei molto giovane però segui fedelmente le regole della old school detroitiana, come mai? Da dove nasce il tuo amore per Detroit?
Penso sia nato da un modo comune di intendere ed interpretare la vita urbana. Il credere nell’esistenza di una natura, un’anima nella meccanizzazione fredda di ogni grande citta’ fatta di cemento e fabbriche; e il volerla rappresentare musicalmente e artisticamente.
Hai avuto il piacere di dividere la console con diversi mostri sacri della scena, chi ti ha influenzato e colpito di più?
Robert Hood per la sua freddezza e professionalita’. Quello in cui viviamo e’ il tempo di “showman” e “djesse in topless”: persone per cui conta piu’ l’immagine che il valore creativo. Hood per me rappresenta un’etica professionale votata all’onesta’ intellettuale ed all’umilta’ di un artista, capace di mettersi in discussione: in antitesi a questo processo di mercificazione dell’immagine del dj.
La diatriba degli ultimi anni: vinile o mp3. Tu cosa ne pensi e quale set up preferisci? Utilizzo solo ed esclusivamente vinile. Non apprezzo un dj se non usa vinile.. mi viene spontaneo. In primo luogo per il dislivello abissale di competenze tecniche che servono tra il suonare vinile e il suonare un mp3 nei suoi vari supporti sia come traktor e simili, sia come cdjs. In secondo luogo per la facilita’ con cui ormai chiunque può formulare una propria playlist e metterla a tempo, anche non conoscendo i bpm. In terzo luogo perche’ rispetto gli strumenti della “vecchia scuola”.
Nell’ambiente elettronico sei anche conosciuto come promoter di eventi, e le tue serate Movement sono diventate un punto di riferimento per tutti gli appassionati, cosa ti ha spinto a metter su una situazione completamente tua?
Il fatto che in una citta’ come Milano non ci fosse spazio. Spazio per le mie sonorita’, spazio per rappresentare un immaginario in rapida ascesa come quello techno/noise e tecnologico. Spazio dove poter suonare e farmi ascoltare da chi voleva seguirmi: amici appassionati. Spazio dove poter ballare le sonorita’ che amo.
Quali sono state le difficoltà incontrate e le soddisfazioni ottenute?
Ho cominciato suonando in ogni posto, in ogni situazione, con ogni tipo di set up. Le difficolta’ sono sempre state molteplici ed ogni volta diverse: da quelle economiche, a quelle logistiche a quelle di disturbo della quiete pubblica. Ora posso scegliere tecnicamente cio’ che necessito per dare il meglio; ho la possibilita’ di esibirmi davanti a grandi pubblici, in diversi paesi, posso confrontarmi con i piu’ importanti artisti mondiali. La soddisfazione piu’ grande e’ che questi risultati li ho potuti raggiungere esclusivamente attraverso la mia dedizione, sostenuti da una passione vitale.
Punta di diamante del tuo lavoro è il Maximal festival che si terrà a Milano agli East End Studios il 13 giugno prossimo. Cosa puoi raccontarci a riguardo? Visti i nomi coinvolti sarà un evento storico per il nostro Paese…
Il Maximal e’ un’altra occasione. Appuntamento che - assieme a tutte le persone che ci stanno lavorando sodo - vogliamo dare all’Italia per potersi qualificare nell’evoluzione della scena musicale elettronica mondiale, coinvolgendo arte, robotica, musica, tecnologia, performance circensi biomeccaniche, tecnologie ecosostenibili: Proietteremo questo mondo dove le parole “progresso e futuro” rappresentano pace ed equilibrio tra artificializzazione, natura e percezioni sensoriali.
Come si costruisce un festival così imponente in un Paese Technologicamente arretrato come il nostro? Ne vale davvero la pena?
Ne vale assolutamente la pena. Perchè è qui che la scena va assolutamente evoluta, aggiornata e supportata; è qui che c’è necessità di musica, eventi ed iniziative intelligenti.
E’ stato un lavoro capillare, in questi 3 anni di club prima con Funk You poi come Movement ho collaborato con organizzazioni nazionali ed internazionali che, grazie anche al rapporto di amicizia , sono andato poi a coinvolgere nel progetto Maximal. 3D Roma (secondo me, booking agency di riferimento in Italia), Kne’Deep, Bullshit e Bollwerk dalla scena hardtechno mondiale, Esterni e Funk You da Milano, Basstationcrew dalla Sardegna, Altavoz e Fabbrika dal Veneto, Hardfactory da Napoli, Decibel e Dama Staff da Firenze, Mariopsx dall’Abruzzo, Electronic Community da Torino e moltissime altre. Approfitto dell’occasione concessa dallo staff di Frequencies.it per salutare e ringraziare tutte le persone per tutto il supporto e affetto.
Quali sono gli artisti da cui ti aspetti di più?
sono ansioso di ascoltare il live di Scan7 per quanti artisti amici e non che stimo e vorrei ascoltare, sara’ molto difficile non perdermene qualcuno..
Ultima domanda di rito: quali sono i tuoi progetti futuri?
Penso che il Maximal sia solo il primo salto verso un lungo cammino. Nel frattempo sto lavorando ad un live-dj set audio/video. Ma fino alle sette di quella mattina (del 14 giugno)… non fatemi domande sul futuro.

di Federico Spadavecchia
fonte:www.frequencies.it

Intervista a Damian Lazarus


Damian Lazarus ha da poco pubblicato l'album di debutto "Smoke The Monster Out" su Get Physical.
Lo abbiamo intervistato.

Damian, partiamo con ordine: i tuoi inizi nel mondo musicale sono come giornalista musicale. Cosa puoi raccontarci di quel periodo?
E' stato un periodo eccitante, appagante e dal quale ho imparato moltissimo. Ho potuto incontrare i miei eroi, scrivere per alcune riviste straordinarie e vivere una vita in un certo senso da privilegiato.

Poi, sei diventato A&R?
Mi è stato offerto un posto all'etichetta Ffrr e ho lasciato la rivista "Dazed & Confused" per accettarlo. E' stato come un sogno che si stava avverando.

Come sei entrato nel mondo del djing?
Il mio primo vero dj set in cui ho messo il tipo di musica che suono adesso è stato al leggendario City Rocker's party, Bodyrockers nel 2001. Ero contento di lavorare come A&R, divertirmi e lavorare duro nell'industria musicale ma i miei amici mi continuavano a ripetere che ero un buon dj e che avevo qualcosa da offrire. Ho lavorato a lungo sul mio suono e durante i due anni successivi ho impiegato il mio tempo nel crearmi una carriera come dj.
Attualmente divido il mio tempo tra fare il dj, gestire la mia etichetta Crosstown Rebels e fare musica.

Musica eccellente a giudicare dal tuo album. Quanto tempo hai impiegato a concluderlo?
Due lunghi anni di sangue, sudore e lacrime.

E' stato concepito da subito come un album o si tratta di una raccolta di tracce registrate nel tempo?
E' sempre stato pensato come un album. Quando mi dedico a qualcosa, lo faccio lavorandoci duramente. Volevo che questo primo esperimento in studio fosse stimolante e volevo ottenere qualcosa di molto speciale.

Rispetto alla tua idea di partenza, "Smoke The Monster Out" è un album diverso o fedele alle tue intenzioni?
A dire il vero direi che il risultato finale è sorprendentemente vicino a quanto avevo desiderato che l'album fosse.

Due dei pezzi migliori sono sicuramente i singoli "Moment" e "Neverending". Cosa puoi dirci?
Che sono pezzi onesti, divertenti e delicati e che significano molto per me, entrambi per ragioni molto differenti.

Cosa puoi raccontarmi invece della tua esperienza di cantante?
E' abbastanza una tortura di nervi cantare, specialmente se lo fai per la prima volta. Volevo semplicemente che le mie canzoni fossero personali e non avrei potuto pensare un modo migliore di farlo che provare a cantare io stesso.

Considerando il tuo background, pensi che diversi approcci e punti di vista (giornalista, dj e il tuo coinvolgimento nell'industria musicale) siano un
vantaggio o meno nel comporre musica?
Sicuramente sono fattori che mi hanno dato grande esperienza, finora posso dire di aver vissuto una vita abbastanza intensa e piena di colore.

L'album è decisamente personale e originale e mostra il tuo background musicale ampio e diversificato. Con che tipo di musica sei cresciuto?
Una mistura di soul, jazz, funk, house e sigle televisive.

Chi sono i tuoi eroi musicali?
Soprattutto David Bowie e Brian Eno.

Background che si nota anche nei tuoi "Lazpod"...
E' un piacere realizzarli e spero un piacere ascoltarli. Ho migliaia e migliaia di iscritti e ascoltatori regolari e amo assolutamente realizzarli.

Vivi ancora a Londra?
Non più, mi sono appena trasferito a Los Angeles.

Hai altri interessi oltre la musica? Qualche lavoro oltre quello connesso con la musica?
Sto scrivendo musica per film.

Siamo arrivati alla fine dell'intervista. Cosa dobbiamo aspettarci da Damian Lazarus in futuro?
Molto di quello che sto facendo, spero solo in meglio.

intervista di Antonio Di Gioia
fonte:www.basebog.it

Felix da housecat in streaming


i prossimi weekend il noto dj internazionale Felix da Housecat trasmetterà tutti i suoi set nei club in diretta streaming tramite justin.tv,con la possibilità degli utenti di chattare con lui durante il set e fargli richieste sui pezzi da suonare
ecco la notizia completa e l'intervista:

Felix Da Housecat has begun to broadcast all of his DJ sets live as they happen.

Find Twitter tracklists a bit impersonal? Well Felix Da Housecat is going the extra mile for his fans, setting up his own internet video channel so that they can check him spinning records at whatever downtown club he's at that evening. Felix has even made fans able to speak to him as he plays, giving them the opportunity to pick the next track and get a live shoutout over the mic. Interested viewers and Housecat fans can check out his channel over at the Justin.tv site, but you'll have to wait until June 6th for his next DJ set at Bulgaria's Seeme festival. As far as we know, he'll be the first DJ to stream all of their shows live over the internet so we thought it'd only be right to ask the man himself a few questions about the project.

How did you first come up with the idea to stream your shows?

Nobody was doing it, and since some people can't afford to see me overseas and in the US or I don't travel to their part of world, I figured this is a way to give fans more access to see my show. And I am the FIRST one to do it, once again the first. I'm the first one doing something like this and now everybody will be following me.

Is it just a basic webcam set-up? What's the audio/video quality like?

The initial set up was with my laptop's already installed camera but then I spilled Mezcal [Felix's favorite tequila] on the laptop so I had to get an external camera. I bought a cheap external camera in Belgium, which is crap. I am trying to find a good one now that is compatible for justintv. The Mezcal is still in my computer, under the screen and not completely dried up yet so my laptop is still messed up from the spill.

I hear you've been giving shout outs to members of your chat room over the mic...

Yes I type to my "justinboppers" and ask them what song they want to hear and I play them during my set. So for like 25 minutes of my set I do this and they be going crazy on the message boards with their requests and when I give them shoutouts.

Does the chat room not distract you from the DJing job in hand?

Not at all! They be cracking me up and getting me pumped. I pick up the mic and give them shoutouts because I be watching how crazy the message boards are with their comments. I can't multitask in most of the other areas of my life but get me in the booth with my Mezcal and I am a multitasker at their best!

fonte:www.residentadvisor.net

Intervista a Giorgio Gigli

Giorgio Gigli è uno di quei pochi artisti italiani che mettono ancora l’anima nelle cose che fanno, amalgamando alla perfezione la doverosa serietà necessaria a creare prodotti di qualità alla semplicità con la quale si rapporta con il mondo. Questa la nostra intervista, un piacevole racconto che mette a nudo passato, presente e futuro di questo musicista da supportare!

E: nelle tue nuove produzioni per la Aconito records appare evidente lo studio forsennato sulla ritmica e sull’utilizzo di sonorità sperimentali, fattori che, ascoltando a distanza di tempo le tue vecchie produzioni su Elettronica Romana e Mental Groove, suonano come piacevoli novità nonché come un eccitante sfida per il futuro. Cosa sta influenzando il tuo modo di produrre musica in questo momento?

G.G.: l’evoluzione fa parte dell’indole umana e questa ne è la prova!
Inevitabilmente ognuno di noi cambia di continuo con il passare del tempo.
Rispetto alle produzioni di qualche anno fa, in cui c’era un forte legame con quelle che erano le sonorità dei primi anni novanta rappresentate da artisti come Emmanuel Top o Plastikman, dove dominava una matrice esclusivamente ritmica, adesso la ricerca si è spostata verso lo studio dell’ambiente che la circonda.
Mi hanno influenzato moltissimo produttori come Robert Henke, Ben Lukas aka HECQ, Boysen, Stefan Goldmann.
Ascoltando le loro produzioni mi sono sempre più appassionato a quel tipo di sonorità, ho cercato di studiare molto e di trovare il modo migliore per far entrare in sintonia quelle ambientazioni con la ritmica.
Il risultato si potrà cogliere nelle prossime produzioni su Aconito e Prologue recordings.

E: credi ci sia più senso nel produrre suoni scavando a fondo nella propria anima o pensi debba esistere comunque una parte razionale che si rapporti con la società esterna ed il mercato discografico, al fine di non apparire troppo “diverso” dalla massa?

G.G.: reazioni chimiche nel cervello producono stati d’animo, rispetto a questi, vengono a crearsi i suoni e le melodie.
Chi esprime i propri stati d’animo non lo fa pensando se a qualcuno piaccia il suo umore, ma lo fa semplicemente per farsi conoscere.
Dentro la mia musica ci sono io e attraverso la stessa mi rapporto con la società esterna.
Ascoltando le produzioni spesso si può capire molto di un artista, è come una sorta di biografia.
Vorrei che le persone mi conoscessero per quello che sono e non per quello che bisogna apparire, quindi continuerò a produrre musica nel modo più puro possibile senza scendere a compromessi, è difficile sopravvivere in una società dove ormai si tende a inseguire l’ideale di se stessi. Ma è proprio questo il punto dove nasce il compromesso, se tutti fossimo più liberi di esprimerci nessuno si sentirebbe “diverso”.

E: a volte mi piace immaginare alcuni producer influenzati da qualcosa che non è propriamente la loro strada, nel tuo caso ho pensato chissà come suonerebbe Giorgio in un contesto house. Hai mai sentito il bisogno di dedicarti a qualcosa di (musicalmente) diverso magari soltanto per staccare la spina e sondare nuovi territori?

G.G.: quando iniziai a suonare i primi dischi che comprai furono House, che ho poi suonato per moltissimi anni, trovandola tutt’oggi ancora interessante.
Quando si parla di musica house mi viene subito in mente Larry Levan, il Paradise Garage, l’impianto audio di altissima qualità, la cuffia “a doccia” e il mixer Rotary Fader.
All’idea di suonare in un club House così, mi vengono i brividi, sarebbe come percorrere al contrario il mio cammino professionale.
Per quanto riguarda il dedicarmi a qualcosa di musicalmente diverso, lo sto già facendo, la musica d’ambiente mi ha totalmente affascinato e quando posso cerco sempre di dedicarmi alla ricerca e alla produzione di nuove atmosfere.

E: alcuni produttori di musica elettronica stanno sperimentando con successo l’interazione con la musica classica, non ultimo, il sorprendente disco di Carl Craig insieme a Maurizio. Questo fa si che anche nella techno sia in atto una sorta di mutazione che ci fa assistere sempre più spesso all’esecuzione di live e/o Dj set in luoghi impensabili quali teatri, musei, arene ecc.
Anche nei tuoi dj set è palpabile una sorta di ricerca che mira a creare un viaggio ed un immaginario sempre diversi grazie all’inserimento di elementi ambient e sperimentali.
Cosa significa per te eseguire un dj set? Poni dei limiti ai luoghi nei quali eseguirli?
Ed ancora: il contesto nel quale puoi trovarti a suonare in che percentuale influisce sulle tue scelte?

G.G.: hai citato a mio avviso una delle migliori produzioni in assoluto,Carl Craig e Maurizio hanno fatto un esperimento fantastico! Da questi progetti si può soltanto imparare.
Questo insegna che l’arte non ha mai dei limiti, la ricerca porta sempre qualcosa di nuovo.
È inevitabile che questo modo di interagire tra varie tipologie di artisti porti anche a sperimentare nuove location dove esibirsi.
Eseguire un dj set per me significa come prima cosa cercare di far ascoltare buona musica e divertire chi è venuto ad ascoltarmi
Porsi dei limiti rispetto al luogo dove lavorare è impossibile, tutto ormai può trasformarsi in una location adatta, che sia un terrazzo di un palazzo o un club, piuttosto che l’Auditorium, cerco sempre di studiare un minino il contesto dove sto andando a suonare, tutto il resto lo fa lo stato d’animo che ho in quel momento.
La cosa negativa è che per questo motivo quando lavoro mi porto sempre dalle 3 o 4 valigie di dischi, che mal di schiena!

E: qual è la produzione alla quale ti senti più legato? Hai da raccontarci una bella storia legata a qualche tuo brano?

G.G.: non c’è una traccia a cui sono legato particolarmente, non ho un buon rapporto con le mie produzioni, non suono quasi mai le cose che produco.
Una volta finite e andate in stampa, il momento più bello è quando arriva il pacco dei vinili, per me è un emozione unica aprire il cartone e vedere che all’interno c’è frutto del lavoro fatto con tanta costanza e passione.
Però se proprio devo raccontare un bel periodo legato alle mie produzioni, quello che ricordo con più nostalgia è quello quando nacque Elettronica Romana. In quel periodo c’era molto fermento, era un continuo confronto tra noi artisti della label e Sandro il label manager, in quel periodo stava nascendo un nuovo movimento a Roma e noi eravamo i primi a cavalcarlo, quando io e Donato (Dozzy) arrivammo da Sandro con il master di “Chiki Disco”, l’espressione del suo volto ascoltando le tracce fu per me un piacere indescrivibile.

E: noi di electronique.it ci rapportiamo spesso con la scena techno ed in generale elettronica dei primi anni ’90, dove per poter produrre musica vi era la necessità di uno studio vero e proprio con tutti i suoi sintetizzatori, batterie elettroniche, campionatori ecc. Un modus operandi che creava una sorta di elite che ad oggi è scomparsa per mezzo dell’avvento dei software.
Qual’è la tua posizione rispetto a tutta questa tecnologia “facile”? Pensi che ciò abbia determinato un generale crollo qualitativo della musica o trovi comunque lati positivi in questa sorta di globalizzazione?

G.G.: quando ho cominciato a pensare che mi sarebbe piaciuto provare a creare musica, era verso la metà degli anni ’90.
Mi informai su che tipo di attrezzatura sarebbe servita per cominciare, capii che la spesa era veramente troppo elevata per me, quindi, conoscendo persone che avevano uno studio dove producevano musica elettronica, mi appoggiai a loro per apprendere le tecniche di produzione.
Era un emozione unica entrare in quelle cantine dove lungo il corridoio che portava all’entrata dello studio, l’odore di muffa si mischiava al suono del basso, e più ti avvicinavi più si faceva presente, le luci erano sempre molto basse, appena si entrava la cosa che colpiva di più era la luce del monitor del computer, piccolo e in bianco e nero, era un Atari “mega STE” il sequencer utilizzato era Cubase 2 poi c’era un banchetto dove erano posizionate delle meravigliose macchine tra cui i gioielli Roland TR909, TB303, TR808 e un sintetizzatore Juno60.
Ho cominciato così, ma con il passare del tempo la tecnologia è andata avanti, i prezzi dei personal computer si abbassavano e alcune software house cominciavano a sviluppare programmi che permettevano di poter fare più o meno tutto.
Appena uscì Reason di Propellerhead nel 2000 mi appassionai molto e cominciai a provare a fare le prime produzioni da solo.
Negli ultimi anni mi sono trovato a lavorare con persone che hanno degli studi notevoli con hardware vintage eccellenti e non ti nascondo che per me è stata una forte emozione lavorare con quelli che erano i primi strumenti con cui ho cominciato.
Sono un fan di tutto questo, mi emoziono ogni volta che entro in uno studio dove posso ammirare queste macchine come in un museo, e nessun software potrà mai emulare le emozioni che si provano usandole fisicamente.
Non credo che la tecnologia sia “facile” ma credo che possa aiutarci a sviluppare quelle che sono le nostre idee, dipende come la si usa.
Una grande svolta c’è stata quando Robert Henke e Gerhard Behle noti come Monolake hanno fondato la software house Ableton, con l’avvento di “Live” è cambiato il modo di produrre musica.
Un software apparentemente facile da usare che rappresenta a pieno la ricerca di nuove possibilità espressive attraverso la musica elettronica, mettendo sullo stesso piano strumenti vintage, software e computer.
Per quanto riguarda la qualità delle produzioni è diverso, le idee e la fantasia non si comprano, credo che questi software abbiano dato la possibilità a quasi tutti di potersi esprimere nel miglior modo possibile, c’è da dire che a differenza della tecnica che si può imparare nel tempo, il gusto è una cosa che ho si ha o non lo si può acquistare da nessuna parte.

E: oltre al modo di produrre musica, la tecnologia ha inevitabilmente mutato il mercato discografico, una cosa annunciata da tempo se pensiamo che la Sony dopo aver inventato il formato CD ha messo in commercio i masterizzatori, ma che ora comincia a mietere vittime in ogni dove e continuamente assistiamo alla chiusura di negozi di dischi e label indipendenti, che dopo l’avvento del formato mp3 hanno visto crollare verticalmente le vendite.
La musica elettronica è nata su vinile ed ha vissuto il suo massimo splendore su questo formato.
Tu continui imperterrito a proporlo come soluzione unica per l’acquisto dei tuoi brani. Credi ci sia bisogno di più militanza per tornare ad una logica di mercato che veda premiati economicamente gli sforzi dei produttori? Vedi il mercato digitale come un reale valore aggiunto?

G.G.: questo è un discorso molto articolato e difficile da affrontare, per quanto mi riguarda le label che producono solo musica digitale sono figlie dei tempi, l’avvento di software che hanno permesso di emulare a pieno il vinile hanno dato un forte contributo all’ascesa del formato digitale.
È inutile nascondere che molti lo fanno per comodità, piuttosto che portarsi 2 valigie di dischi, basta un laptop e 2 “vinili” e la serata è risolta.
Sicuramente il lato economico non va trascurato, il vinile costa e non tutti possono/vogliono permetterselo, acquistare musica digitale è più facile e meno costoso.
Molti lo fanno perché sono nati con questa cultura, chi si avvicina alla musica è sempre molto giovane quindi conosce le tecnologie del tempo in cui vive, non gli interessa come si suonava negli anni novanta.
Quindi se oggi un ragazzo vuole cominciare a “mettere i dischi” compra 2 cdj un mixer e il gioco è fatto.
Non esiste memoria storica nelle nuove generazioni la cosa che li preoccupa è solo l’idea del futuro.
Non posso fare a meno di lasciarti con le parole di un collega, che spero possano servire a far riflettere sul valore aggiunto di quel pezzo di plastica nero.

Dieci anni di dischi. Già, i dischi. Chissà cosa ce li fa amare così tanto?! Qual'è quella magia, quell'alchimia che ce li fa scegliere? Appoggiamo la puntina su quel pezzo di plastica nera e diciamo si o no, e dietro questa scelta c'è il nostro gusto, il nostro pensiero, la nostra storia.
Una storia piena di brividi, di emozioni, di certezze, di insicurezze. Piena di aspirazioni, di delusioni e di grande gioia.
Io, a volte, lo capisco dalla copertina se un disco mi piacerà e dalle prime note mi accorgo se dentro quel 'cerchio' di vinile c'è un progetto, un'idea, una passione. Allora lo scelgo, senza pensare al genere o allo stile. Senza domandarmi come e quando lo userò. Già il concetto di 'usare' la musica mi dà fastidio. Un disco in cui ci hai sentito quel 'non so ché' si rivelerà sempre un buon investimento. Hai voglia tu a parlare di nuove tecnologie, di inventare nuovi supporti… Cd, mini disk, mp3: certo, tutta roba utile ed importante… tutta roba che semplifica la vita.
Ma quel brivido che si prova quando si estrae quel pezzo di plastica nera dalla copertina, quell'odore, quella sensazione che si ha quando con la mano lo si ruota sopra il tappetino di feltro, in cerca della battuta, non si sostituisce con niente. E, in questi tempi di marketing, di sponsors, di addetti stampa e di 'guest stars', è bene ricordare che il nostro mestiere è fatto, soprattutto, di queste cose. Semplici e selvagge.

E: purtroppo anche sulle nuove generazioni si è abbattuto il fardello, mi arrivano email di ragazzi che chiedono dove poter “scaricare” i dischi che recensisco su electronique.
Non esiste in loro il valore della musica e l’illegalità sembra stia diventando un “bene” di uso comune. Alcuni artisti stanno seriamente pensando di regalare la propria musica, ed alcuni in effetti già stanno cominciando a farlo, Grandmaster Flash all’uscita del suo nuovo album dopo 20 anni di inattività ha dichiarato che il disco è ormai paragonabile ad un flyer di una serata, lo lasci in giro e ti fa pubblicità. Cosa pensi abbia determinato tutto ciò? E soprattutto vedi risolvibile in qualche maniera il fenomeno del download illegale?

G.G.: come ti dicevo prima,i ragazzi che ti chiedono dove poter scaricare i dichi,sono figli dei tempi.
Viviamo in una società dove viene consumato tutto velocemente e di conseguenza non viene dato più valore alla musica,quello che prima era un vinile e una copertina,oggi è un file mp3 .
Non esiste più il valore affettivo dell’oggetto ma interessa solo il suo immediato utilizzo,il processo è questo: scarico>suono>dimentico
I vinili sono un modo per ricordare chi sono stato dietro quelle copertine colorate che riempiono le mie librerie c’è la mia storia,forse sono troppo romatico ma a me piace viverla così la musica,mi ha dato talmente tanto che all’idea di sfruttarla preferirei non farla più.

Cosa pensi abbia determinato tutto ciò?

Forse oggi viene dato poco valore alla musica…

Vedi risolvibile in qualche maniera il fenomeno del download illegale?

Ormai definirlo illegale credo sia inesatto, partendo dal fatto che le compagnie telefoniche fanno offerte sempre più vantaggiose e veloci, quindi mettono in condizioni l’utente di poter scaricare tutto con tempi minimi, in rete ci sono moltissimi programmi p2p che permettono il download veloce di tutte le ultime novità discografiche di qualsiasi genere, per quale motivo bisognerebbe comprarsi la musica digitale?
Se tutto è alla portata di tutti senza pagare nulla, forse l’unica salvezza è la coscienza?

E: tornando al lato prettamente musicale ci piacerebbe sapere cosa vedi di veramente buono intorno a te, nella scena elettronica pensi ci siano ancora i cosiddetti “movimenti musicali” oppure i frutti migliori sono da cercare nascosti tra i fittissimi rami?

G.G.: più che intorno a me, dentro di me, di buono sono le emozioni, che sono il valore aggiunto per poter fare musica senza di quelle la tecnica sarebbe fine a se stessa.
Nella scena elettronica a parte i classici, sono esistiti nuovi movimenti negli ultimi quattro anni? Peccato non me ne sono accorto!
Non sempre i frutti che appaiono più belli esteticamente sono quelli più buoni, a volte quelli che hanno l’aspetto più brutto hanno un sapore più intenso, bisogna saperli cercare, e una volta trovati , assaggiarli.

E: so che sei in costante contatto con produttori scandinavi ed in generale ami particolarmente il tipo di suono che sta giungendo da quelle terre, chi sono i nomi di riferimento secondo te e quale credi sia il motivo di tanto calore dietro le loro produzioni e sonorità? Possiamo aspettarci qualche tuo nuovo lavoro con qualcuno di questi?

G.G.: è vero! Ho conosciuto delle persone meravigliose, Samuli Kemppi e Teemu Tuominen sono gli artisti che negli ultimi tempi mi hanno più condizionato.
Le loro sonorità così calde saranno forse date per compensare il freddo che c’è da quelle parti!
Per quanto riguarda le collaborazioni spero di trovare il modo di concludere qualcosa con il mio amico Samuli.

E: il disco che hai ascoltato più volte nella tua vita. Non voglio una lista, semplicemente il disco che è finito più volte nel tuo giradischi e perché.

G.G.: Protection dei Massive Attack

E: in fine il disco che non compreresti mai.

G.G.: Crookers - Limonare

liquid

fonte:www.electronique.it