Arriva l’estate ed è tempo di festival, come nelle migliori tradizioni europee dedite alla scena musicale alternativa.
Il nostro panorama, possiamo affermarlo con una certa cognizione di causa, non ha mai offerto nulla di particolarmente significativo, e, la stessa penna che vi scrive, ha dovuto vagabondare in lungo ed in largo, per poter assistere ad avvenimenti musicali degni d’esser chiamati tali.
Da qualche anno a questa parte, stiamo però assistendo alla nascita di alcune realtà italiane che con impegno e soprattutto passione, stanno dedicando i loro sforzi alla realizzazione di eventi che possano in qualche modo instaurare, nella cultura musicale nostrana, dei veri e propri punti di riferimento che speriamo possano contribuire ad un aumento di interesse verso dei generi musicali troppo spesso snobbati o addirittura criminalizzati.
Va detto che troppo spesso ci siamo imbattuti in situazioni sulla carta interessanti, poi, trascurate su molti aspetti organizzativi che lasciano comunque intendere un certo interesse, forse, maggiormente incentrato sul fronte guadagni, piuttosto che sulla qualità alla quale avrebbero dovuto puntare.
Dancity ci è sembrato da subito la classica mosca bianca, perché di festival di “nicchia” ce ne sono stati, ed anche ottimi, ma qui la quantità di artisti invitati e distribuiti nei 3 giorni di programmazione, lasciava intendere, finalmente, un importante passo in avanti. Un interessantissima line-up molto attenta a proporre artisti eclettici e raffinati, che con le loro produzioni hanno trovato affermazione negli angoli più bui dei club di tutta Europa.
Parliamo di nomi come Redshape, Andy Stott, Efdemin, Aardvarck o giovani promesse come Cinnaman. Artisti che vantano una serie di ricercatissime produzioni che stanno dando un definitivo lustro alla scena musicale elettronica.
Poi dobbiamo parlare di una scelta forse meno di nicchia come quella dell’ormai superstar Apparat, che a nostro avviso non toglie di un solo grammo la solidità di una programmazione oltremodo eccellente, o ancora degli Efterklang degli Chateau Flight o di un produttore che quando vuole stupisce in maniera definitiva come Matias Aguayo.
E non è tutto qui, perché i nomi in cartello erano molti altri, tra cui ottime promesse italiane chiamate a tener alto il suono made in italy ormai in piena ascesa.
Foligno è una cittadina nel bel mezzo della penisola che può vantare un antico fascino legato alla tradizione, allo stile e soprattutto all’accoglienza, e la location scelta per ospitare questo festival emanava un atmosfera di assoluta goliardia ed effimera sensualità. Tutti elementi, questi, che è raro incontrare in altre manifestazioni del genere, e che donano una sorta di unicità che è garanzia di accuratezza da parte degli organizzatori.
Un team impeccabile nonostante la poca esperienza sul campo, che non ha tralasciato sbavature né falle in un processo intricato come quello organizzativo nel quale c’è bisogno di una supervisione a 360° sull’evento, dalla gestione degli artisti, all’allestimento delle consolle, e degli impianti audio/visivi, fino ad arrivare alla gestione del pubblico che và salvaguardato sotto ogni aspetto della permanenza al festival.
Quando iniziate a parlare di musica? Vi starete chiedendo. Eccovi accontentati, inizieremo parlando di un colore che a nostro avviso ha caratterizzato l’aspetto musicale più brillante della manifestazione: il rosso.
Il rosso di una maschera, la maschera di Redshape.
Uno per il quale abbiamo sempre immaginato il classico robot da palco stile Kraftwerk, magari un 30 enne “sfigato” tappato tutto il giorno in casa a produrre musica e vergognoso di esibirsi live.
Tutt’altro. Redshape ci piomba davanti proprio nella zona bar, senza maschera e con l’innocente e sereno volto di uno che è poco più di un bambino. Poi sale sul palco, e ribalta letteralmente tutte le nostre convinzioni con un live techno di una maturità a dir poco stupefacente.
Un senso del ritmo impressionante, dinamiche in crescendo con poche, selezionate ripartenze a creare un vortice emotivo unico. Un gamma di suoni degna dei migliori impianti techno detroitiani e la sensazione predominante che questo artista può prendere il suono e portarlo nel futuro senza riserva alcuna. Essenziale.
Nella serata di venerdì, la sorpresa più rappresentativa è stata sicuramente il live di Apparat, un’esibizione seria e decisa, seppur troppo imperniata nelle sue classiche soluzioni sonore fatti di microsuoni applicati a ritmiche sostanzialmente breakbeat. Da uno come lui è lecito aspettarsi sempre un passo in avanti, ma vederlo così impegnato e perso nei suoi suoni è pur sempre un’esperienza significativa.
Molto convincente anche il live degli Chateau Flight, ovvero I:Cube e Gilb’r, che hanno regalato un set tutto da ballare fatto di tanto groove e sonorità house ricercate e coinvolgenti.
Mansione a parte per l’esibizione degli Efterklang, 8 elementi sul palco e un’organicità senza paragoni che è scivolata via tra melodie rock ricercate e spaziali interventi sonori sempre perfettamente bilanciati tra voce, chitarra e trombone. Uno show intenso ed interessantissimo.
Altra grande aspettativa è stata quella ampiamente ripagata da Aardvarck, questo straordinario produttore olandese autore di 2 album capolavoro come “Find the Cow” e, soprattutto, “Cult Copy”. Un artista in grado di assimilare tanto la techno quanto l’house e tritarle in una personalissima miscela tutta ritmo ed improvvisazione. Ed il suo live ha rispecchiato in tutto e per tutto ciò che avevamo fin ora soltanto ascoltato su supporto, grandi dinamiche fatte da bassi poderosi, ritmiche spezzate e groove di ogni sorta, con l’intelligenza che soltanto una mente geniale può mettere in pratica.
Ad accompagnarlo, una delle giovani leve più interessanti, Cinnaman, del quale purtroppo perdiamo il live, ma che ci regala qualche ottimo disco in attesa dell’esibizione di Kalabrese e Mass Prod, chiamati all’ultimo momento a sostituire l’assenza di Andy Stott inspiegabilmente mai giunto in aeroporto.
Col senno di poi, riteniamo l’esibizione in questione una delle meno riuscite del festival, in quanto le sonorità proposte, unite ad una pesantissima serie di incursioni vocali sia dello stesso Kalabrese che di Matias A guayo, hanno creato un sound piuttosto noioso e scontato.
Ultimo, ma non certo per demerito, il dj set di Efdemin, uno dei più raffinati e ricercati produttori in circolazione ha salutato Foligno con un dj set ben congeniato, potentissimo e lineare, con dischi che hanno affrontato tutto il discorso house, techno, dub lasciando l’impronta unica della musica di qualità su di un festival che non poteva partire in maniera più egregia.
Ciò che è mancato al Dancity festival è stato sicuramente il supporto del pubblico, un supporto necessario per il mantenimento e l’incremento di situazioni musicali d’avanguardia nel panorama italiano. Un supporto che può e deve essere maggiore per degli avvenimenti così preziosi.
Ora più che mai, arrivederci al prossimo anno!
Liquid
fonte:www.electronique.it
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